Sei disposta a rinunciare al caffè per la tua salute?

Tranquilla, anche solo per 15 giorni…

Hai mai pensato a cosa faresti di più difficilmente a meno?

Ok, si può vivere senza glutine, il latte o i latticini. Senza la carne o il pesce. Si può smettere di fumare o rinunciare ad un po’ di relax per iscriversi in palestra…

Ma se ti venisse chiesto di rinunciare ad internet per 2 settimane ?

Beh allora il gioco si fa duro. Ma arriviamo al punto.

Sarebbe semplice rinunciare al tuo caffè per 2 settimane?

Per qualcuno di voi probabilmente sarebbe MOLTO difficile… MOLTO difficile…

Ma cerchiamo di capire i due lati della medaglia

I Benefici del caffè

Non sono pochi gli studi che evidenziano gli effetti positivi del caffè sulla salute.

Sappiamo bene come il caffè abbia un effetto tonico e stimolante la funzionalità cardiaca e il sistema nervoso centrale. È questo il motivo per cui lo beviamo alla mattina appena svegli. È questo il motivo per cui si aggiunge al latte, che di per sé possiede una azione sedativa per il contenuto di calcio.

James H. O’Keefea, James J. DiNicolantonioa, Carl J. Lavieb. Coffee for Cardioprotection and Longevity, Progress in Cardiovascular Diseases. 21 February 2018
Khan and Cao. Coffee Consumption Provides Therapeutic Benefits against AD through Increasing Plasma GCSF Levels and Improving Cognitive Performance. Journal of Clinical Neurology and Neurosurgery, 2018.

Il caffè stimola la secrezione gastrica. È questo il motivo per cui molte persone lo bevono dopo pranzo o dopo cena.

Kathrin Ingrid Liszt. Caffeine induces gastric acid secretion via bitter taste signaling in gastric parietal cells. Proceedings of National Academy of Sciences of the United State of America (PNAS) 2017 July, 114 (30) E6260-E6269.

Possiede un effetto lipolitico e anoressizzante, ma solo se assunto ad alte dosi e generalmente come farmaco.

Ian James Martins. Indian spices and Caffeine treatment for Obesity and Cardiovascular disease. Annals of Clinical Endocrinology and Metabolism Published: 31 January 2018

Ci sono studi che mostrano che potrebbe avere un ruolo nella prevenzione del cancro, diabete, depressione, cirrosi ecalcolosi etc.

Amanda J.Crosset all. Coffee and Colorectal Cancer: Grounds for prevention? Gastroenterology. February 2018
Longfei Wang et all.Coffee and caffeine consumption and depression: A meta-analysis of observational studies. Australian & New Zealand Journal of Psychiatry. September 2, 2015

Inoltre il caffè è ricco di antiossidanti e polifenoli. Tuttavia, se dobbiamo proprio fare una scorpacciata di antiossidanti e polifenoli, forse meglio pensare a frutta e verdura.

Al di là della scienza vi è una innegabile sensazione di benessere che può derivare da una tazzina di caffè, che può spezzare una mattinata monotona, animare un break con amici senza dimenticare il profumo, il retrogusto, l’energia e la lucidità mentale che dona.

Ancora di più a chi ha poca energia per una tiroide ipofunzionante o surrenali scariche.

Il caffè fa bene a tutti? Non proprio.

Ognuno di noi può avere una reazione diversa. Alcuni possono sentirsi nervosi, altri carichi per ore: alcuni riferiscono di sentirsi bene per un paio di ore (soprattutto grazie al picco di dopamina) ma dopo la loro energia e il loro livello di attenzione inizierà a calare rapidamente.

Ma ecco una chicca:

Il caffè è metabolizzato nella FASE 1 della detossificazione epatica e alcune persone hanno difficoltà ad attivare questa fase di detossificazione e per questo vengono chiamati metabolizzatori lenti. Quando ciò avviene può manifestarsi subito, con agitazione e irritabilità o a distanza di qualche ora, con problemi digestivi o del sonno.

Se hai una malattia della tiroide, una tiroidite di Hashimoto, se le tue surrenali sono scariche o soffri di insonnia, ansia, vampate è importante essere consapevole degli effetti negativi che può provocare il caffè per poter fare la tua scelta consapevole.

Qual’è il problema del caffè?

1) Può innalzare i livello di zuccheri nel sangue (la glicemia)

Ciò è particolarmente pericoloso per persone con ipoglicemia (bassi livelli di zuccheri), che si sentono nervose, affannate o insopportabili quando hanno lo stimolo della fame.

Le fluttuazioni di zuccheri nel sangue causano picchi di cortisolo, che non solo possono esaurire le surrenali, ma disregolano il sistema immune.

E questo non è particolarmente desiderabile per chi ha dei surreni scarichi, un Hashimoto o Graves. Questi picchi di cortisolo sono anche fortemente proinfiammatori.

Attenzione, questo si verifica anche se non si aggiungono zuccheri al caffè.

Il caffè amaro, anzi, stimola ancora di più la funzione epatica è per questo che chi beve il caffè in questo modo avverte uno stimolo alla vigilanza ancora maggiore.

Stutz B. et al. Association between habitual coffee consumption and metabolic syndrome in type 1 diabetes. Nutrition, Metabolism and Cardiovascular Diseases. February 2018
2) Il caffè può aumentare il desiderio di zuccheri e carboidrati

Come risultato di quanto sopra ovvero aumento dei livelli di zucchero, quando i livelli di zucchero scendono, abbiamo bisogno di una correzione di emergenza per riportarli a livelli normali. Ecco perché le persone che bevono caffè a colazione e prediligono una colazione dolce hanno un craving per i carboidrati alle ore 11.

3) Il caffè contribuisce al reflusso gastrico e ai danni intestinali e alla disbiosi

Il caffe stimola il rilascio di gastrina, il principale ormone secreto dallo stomaco e accelera il transito intestinale. Il caffè può anche stimolare il rilascio della bile (ecco perchè molte persone corrono in bagno dopo avere bevuto caffe) o degli enzimi digestivi.

In una persona con una digestione sana, questo non è un grosso problema. Tuttavia, per le persone con una condizione autoimmune e una sottostante la digestione compromessa (come IBS o “Leaky gut perduto”), ciò può causare un ulteriore danno all’intestino.

4) Il caffè può contribuire all’esaurimento delle surrenali (Adrenal Fatigue)

Il caffè stimola il surrene a rilasciare più cortisolo, il nostro ormone dello stress; questo è uno dei motivi per cui sperimentiamo uno splendido, ma temporaneo plus di energia dopo una buona tazzina di caffè. Tuttavia bere il caffè mentre in una condizione di esaurimento surrenalico è come gettare benzina sul fuoco. Ed è questa una condizione molto frequente in persone con ipotiroidismo.

Quello che molti di noi non sanno è che i nostri surreni esauriti sono spesso causa di un aumento di peso inspiegabile, problemi di sonno, depressione e stanchezza.

5) Il caffè peggiora la sindrome premestruale e la mammella fibrocistica

Inoltre, è ben documentato che il caffè può contribuire all’estrogeno dominanza, sia nella donna che nell’uomo, con la miriadi di conseguenze e sintomi che può determinare questo stato di eccesso relativo di estrogeni  rispetto agli altri ormoni (progesterone nella donna e testosterone nell’uomo)

6) Il caffè cross-reagisce col glutine

Il 50% delle persone con sensibilità al glutine, sperimentano anche una cross reattività con altri cibi, fra cui la caseina nei prodotti lattiero-caseari, mais, caffè e quasi tutti i grani. Questo avviene perché le loro strutture proteiche sono simili.

7) Il caffè influisce la conversione degli ormoni tiroide da T4 a T3

Il caffè influisce sull’assorbimento della levotiroxina (l’ormone tiroideo sintetico) e tiroide secca; questo è il motivo per cui i pazienti tiroidei devono prendere la loro compressa ormonale sostitutiva almeno un’ora prima di bere il caffè.

Quando si parla di aspettare mezz’ora ci si riferisce alla colazione. Se a colazione di beve anche il caffè, la tempistica di attesa ottimale sarebbe quella di un’ora

L’aspetto indiretto, ma importante, è che il caffè contribuisce alla dominanza estrogenica, citata sopra, e la dominanza estrogenica inibisce la conversione da T4 a T3.

9) Il caffè è altamente infiammatorio

Qualsiasi medico funzionale o di medicina integrata direbbe che la maggior parte delle malattie moderne sono causate dall’infiammazione o meglio dall’infiammazione cronica.

Il ruolo della caffeina sull’infiammazione è controverso. Alcuni studi mostrano che la caffeina è un contributo significativo allo stress ossidativo e all’infiammazione dell’organismo. Dolori e dolori cronici del corpo, stanchezza, problemi alla pelle, diabete e condizioni autoimmuni sono solo alcune delle condizioni legate all’infiammazione.

Tauler P1 et all. Effects of caffeine on the inflammatory response induced by a 15-km run competition.Med Sci Sports Exerc. 2013 Jul;45(7):1269-76

Altri studi mostrano che avrebbe un effetto protettivo e modulante. Altri ancora mostrano invece che avrebbe un effetto modulante l’infiammazione

Yi Zhang et al. Is coffee consumption associated with a lower level of serum C-reactive protein? A meta-analysis of observational studies International Journal of Food Sciences and Nutrition Published online: 06 Feb 2018
10) Il caffè può contribuire allo sviluppo dell’osteoporosi

È ben noto che il caffè è in grado di modificare il pH del nostro organismo riducendolo e quindi rendendolo più acido. Un pH basso (che significa un corpo più acido) può contribuire all’osteoporosi.
Diversi studi scientifici hanno confermato che l’uso abituale di caffè nelle donne in post-menopausa è stata una delle cause di osteoporosi.

Luciana Munhoz et al. Osteoporotic alterations in a group of different ethnicity Brazilian postmenopausal women: An observational study. Gerodontology 30 January 2018
11) Il caffè può determinare insonnia o un sonno non ristoratore

Questo, tuttavia, dipende dall’individuo e dalla sua capacità di metabolizzare la caffeina. Alcune persone possono dormire un sonno profondo e ristoratore anche se bevono il caffè alla sera, mentre altri non riescono anche se smettono di bere caffè a mezzogiorno.

Uno studio scientifico ha dimostrato che 400mg di “caffeina presa 6 ore prima di coricarsi ha importanti effetti distruttivi sul sonno e sostiene le raccomandazioni sull’igiene del sonno che prevedono di astenersi dall’uso della caffeina per un minimo di 6 ore prima di coricarsi”.

J Clin Sleep Med. 2013 Nov 15; 9(11): 1195–1200. Caffeine Effects on Sleep Taken 0, 3, or 6 Hours before Going to Bed Christopher Drake, Ph.D., F.A.A.S.M.,1,2 Timothy Roehrs, Ph.D., F.A.A.S.M.,1,2 John Shambroom, B.S.,3 and Thomas Roth, Ph

È facile scoprire se il caffè ha un impatto sul tuo sonno. Basta rinunciare a bevande che contengono caffeina per 5 giorni e allora sarà il tuo corpo a dirlo.

I primi due giorni saranno duri, ma questo ti dirà qualcosa di importante su questa vera e propria sostanza da addiction, o no? Poi sarai tu a decidere se è il caso di ridurre o abolire il consumo di caffè ovvero di mantenerlo.

E a proposito del decaffeinato ?

Il caffè decaffeinato non è totalmente privo di caffeina: contiene infatti al massimo 0,1% contro l’1,5-2% prima della decaffeinizzazione. Si tratta quindi di un caffè che tramite processi ha perso circa il 97% della caffeina. In base alla legislazione attualmente vigente, un caffè può essere considerato decaffeinato solo se il quantitativo di caffeina è inferiore allo 0,1% sul prodotto secco.

I principali metodi per estrarre la caffeina:

  1. La rimozione tramite solventi chimici: principalmente l’acetato di etile e il diclometrano
  2. Il metodo con trigliceridi
  3. La rimozione della caffeina tramite anidride carbonica
  4. Il sistema tramite un estrattore di acqua

In realtà in natura esiste il caffè decaffeinato che deriva da una pianta, la Coffea charrieriana. Tuttavia il suo uso non è diffuso per la scarsità di questa pianta.

L’ indicazione all’utilizzo del caffè decaffeinato è una zona controversa, per 2 motivi principali.

Il primo è che molti produttori utilizzano un processo chimico per rimuovere la caffeina dai chicchi di caffè. Il risultato finale è si meno caffeina, ma anche più sostanze chimiche.

In secondo luogo, è la caffeina nel caffè che ha i benefici per la salute e che da energia. Senza di essa, ci sono pochi vantaggi, se non quelli di mantenere la ritualità del caffè, anche se studi scientifici mostrano che esiste un residuo beneficio verso la prevenzione del diabete e del declino cognitivo

Parliamo di Selenio e Tiroide

Selenio e Tiroide

Al giorno d’oggi è più facile di quanto si possa pensare presentare carenze nutritive. Molte persone seguono infatti regimi dietetici squilibrati nei rapporti relativi fra calorie e nutrienti per vari motivi: noncuranza, poco tempo a disposizione per curare l’alimentazione o disinformazione.
Ecco quindi che l’alimentazione può essere carente di alcune sostanze chiave soprattutto relativamente agli oligoelementi come il selenio.

Il selenio è un micronutriente cioè una sostanza di cui l’organismo ha bisogno solo in piccole quantità, ma gioca un ruolo essenziale nella produzione di enzimi, ormoni e altre sostanze che aiutano a regolare la crescita, l’attività, lo sviluppo e il funzionamento dei sistemi immunitario, endocrino e riproduttivo.

Il selenio è un elemento chiave nel preservare la funzionalità tiroidea e prevenire le patologie che possono affliggerla anche di tipo autoimmune come la tiroidite di Hashimoto in costante aumento negli ultimi anni anche in persone di giovane età.

Il selenio è un costituente critico nella produzione di ormoni tiroidei perchè svolge un ruolo fondamentale nella conversione dell’ormone tiroideo primario (T4) all’ormone tiroideo (T3) che è la forma biologicamente attiva.

Infatti l’enzima che catalizza la conversione da T4 a T3 è una deiodasi, cioè un enzima che sottrae un atomo di iodio al T4 per trasformarlo in T3, è selenio dipendente e quindi lavora in modo più efficiente quando le quantità di selenio disponibili nell’organismo sono adeguate.

In caso di carenza di selenio grave, la conversione di T4 in T3 può essere compromessa, e la conseguente bassa quantità di T3 può causare sintomi di ipotiroidismo, che in questo caso sarebbero attribuibili solo alla scarsa disponibilità di selenio in presenza di una tiroide perfettamente funzionante.

Un’adeguata integrazione di Selenio gioca inoltre un ruolo importante anche nel supportare i pazienti affetti da tiroiditi di tipo autoimmune.

Infatti ci sono studi che documentano che assumere 200 microgrammi al giorno di questo minerale ridurrebbe l’infiammazione e i danni alla tiroide indotti dalla malattia. Infatti il selenio contrasta lo stress ossidativo e l’infiammazione che possono derivare da eccessi di iodio (e dei suoi sottoprodotti) che circondano il tessuto tiroideo o come conseguenza dell’immunità overdrive presente in particolare nel Hashimoto.

Roland Gärtner et all. Selenium Supplementation in Patients with Autoimmune Thyroiditis Decreases Thyroid Peroxidase Antibodies Concentrations. The Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, Volume 87, Issue 4, 1 April 2002, Pages 1687–1691

Un’integrazione di selenio può essere un valore aggiunto alla terapia tradizionale con levotiroxina.

Di Wu et all. Clinical effects of selenium yeast and levothyroxine combined therapy on patients with lymphocytic thyroiditis. Biomedical Research (2018) Volume 29, Issue 1

Insieme allo zinco, il selenio è poi uno dei minerali che più direttamente promuovono la fertilità dell’uomo, in quanto contribuisce a proteggere la vitalità degli spermatozoi dai radicali liberi e dal danno ossidativo.

La bella notizia è che il Selenio può essere tranquillamente dosato nel siero, così come lo Zinco.

Quindi, anche se nessuno te l’ha mai detto, anche tu puoi conoscere il valore del TUO selenio nel sangue e fare una integrazione mirata.

Diversi alimenti contengono selenio in forma biodisponibile. I principali sono le noci del Brasile, la carne (soprattutto le frattaglie, come reni e fegato), i molluschi, il pesce, i cereali integrali. La raffinazione e la cottura dei cibi tendono a disperdere questo minerale.

Un’integrazione di selenio può essere opportuna in tante circostanze in cui sia necessario riequilibrare la funzionalità del sistema immunitario, in presenza di disturbi di tipo infiammatorio (l’infiammazione acuisce lo stress ossidativo), per prevenire le malattie degenerative collegate o meno all’invecchiamento e in situazioni di subfertilità maschile.

Inoltre non tutti gli integratori lavorano allo stesso modo sulle cellule, ad esempio fra gli integratori di selenio sarebbero da preferire quelli che contengono selenio in forma organica (L-seleniometionina) più facilmente assorbile rispetto al selenio inorganico.

Potrebbe anche essere utile associare all’integrazione con selenio quella con vitamina E che ha un’azione antiossidante sinergica a quella del selenio.

L’integrazione di selenio, come d’altra parte tutte le altre integrazioni, dovrebbe essere suggerita da medici esperti perché è importantissima la personalizzazione dell’integrazione e l’utilizzo di prodotti sicuri e collaudati.

La disbiosi dell’intestino: il filo conduttore “nascosto”…

La disbiosi intestinale

Quando pensi alle malattie cardiovascolari, al diabete, all’obesità, alle malattie neurodegenerative, ai tumori, o … alle malattie della tiroide, puoi facilmente intuire che esiste un fattore comune.

Certo… Sono malattie croniche e sono correlate all’invecchiamento e allo stile di vita o, meglio, derivano dalla continua interrelazione fra geni e ambiente.

Ma questo non basta a chiarirti le idee… Oggi la scienza ha dato una risposta ed è molto chiara.

Il filo conduttore è il microbiota.

Cos’è il Microbiota?

Con la parola “Microbiota” si intende l’insieme dei microrganismi che vivono in simbiosi con il corpo umano.

Possiamo, infatti, considerare l’uomo come un “superorganismo” composto da cellule umane, batteri, virus e funghi.

Per riconoscere l’importanza che questi microrganismi hanno sulla salute umana, basti pensare che il numero delle cellule del microbiota è 10 volte superiore a quello delle cellule umane; mentre, il patrimonio genetico è, addirittura, 100 volte maggiore rispetto a quello umano.

Ecco perché, negli ultimi anni, le ricerche in questo ambito sono aumentate esponenzialmente e la comunità scientifica ha riconosciuto il ruolo chiave del microbiota, ed in particolare del microbiota intestinale, in ambito di prevenzione.

Ad oggi, il “microbiota intestinale” è considerato un organo vero e proprio con peso di circa 2 Kg e molteplici funzioni che contribuiscono a mantenere sano il nostro organismo.

Il Microbiota cambia?

Il Microbiota è diverso da persona a persona e, al contrario del genoma, evolve nel tempo.

I fattori che modificano il microbiota sono molteplici e comprendono: i cambiamenti fisiologici come quelli che avvengono durante i primi anni di vita, il tipo di alimentazione, l’attività fisica, lo stile di vita e i farmaci che assumiamo.

A cosa serve il Microbiota?

I microrganismi all’interno del nostro intestino non si limitano a favorire la digestione e l’assimilazione dei nutrienti, ma giocano un ruolo importante:

  • nella modulazione del sistema immunitario
  • nella biosintesi di sostanze ormono-simili
  • nel combattere microrganismi patogeni
  • nell’interazione con il sistema nervoso centrale

Non è un caso infatti che il microbiota intestinale sia anche chiamato “secondo cervello”.

La Disbiosi Intestinale, ovvero l’alterazione dell’equilibrio dei microrganismi intestinali, è stata correlata a svariate patologie infiammatorie, autoimmuni e metaboliche. Solo di recente, però, le disfunzioni tiroidee sono state collegate al microbiota intestinale, tanto che si inizia a parlare di “asse intestino-tiroide”.

Esiste una relazione tra microbiota e disfunzioni tiroidee?

La risposta è SI.

Gli studi dimostrano che il microbiota intestinale possa modulare l’assorbimento di iodio e selenio, micronutrienti importanti per il metabolismo della tiroide, e giochi un ruolo importante nel metabolismo della triiodotironina (T3).

In presenza di disbiosi intestinale siamo di fronte ad una vera e propria competizione tra cellule batteriche e cellule umane; se i batteri che utilizzano iodio e selenio sono in sovrabbondanza, questi micronutrienti verranno consumati dai batteri e ne rimarranno pochi disponibili per l’assorbimento e l’utilizzo da parte delle cellule umane.

La composizione batterica intestinale, oltre ad influire sull’assorbimento della triiodotironina (T3) fisiologica, modula anche quello della levotiroxina (farmaco somministrato per via orale).

Altra cosa degna di nota è che la sovracrescita batterica dell’intestino tenue, SIBO (small intestinal bacterial overgrowth), è spesso associato ad ipotiroidismo. Mentre l’ipertiroidismo è stato correlato ad una specifica composizione del microbiota intestinale.

Inoltre, in presenza di tiroiditi autoimmuni, come la tiroidite di Hashimoto, è presente disbiosi intestinale con caratteristiche comuni a quelle riscontrate in pazienti celiaci o con intolleranza al lattosio.

Cosa possiamo fare?

  1. Le recenti tecnologie hanno permesso di sviluppare analisi avanzate in grado di analizzare il microbiota intestinale. Questo tipo di analisi permette di avere una “fotografia istantanea” del nostro intestino in un determinato momento e di individuare eventuali situazioni di disbiosi o sovracrescita batterica.
  2. Partendo da queste informazioni è possibile individuare la corretta alimentazione e terapia PERSONALIZZATA per ogni singolo caso.

L’analisi del microbiota intestinale diventa quindi un passo fondamentale in ottica di medicina preventiva e nutrizione personalizzata, approcci indispensabili per supportare il paziente ipo o iper-tiroideo.

Zhao Fuya et all. Alterations of the Gut Microbiota in Hashimoto’s Thyroiditis Patients. Thyroid, January 10, 2018
Virili C., Centanni M. Does microbiota composition affect thyroid homeostasis?
Endocrine. August 2015, Volume 49, Issue 3, pp 583–587
Hedda L.Köhlinga et al.The microbiota and autoimmunity: Their role in thyroid autoimmune diseases, Clinical Immunology.Volume 183, October 2017, Pages 63-74

È vero che il glutine danneggia la tiroide?

L’abolizione dei cereali contenenti glutine dalla tavola oggi sembra una scelta quasi obbligata di chi cerca di essere aggiornato in tema di nutrizione e benessere. Giusto?

Nei supermercati vi sono aree intere dedicate ai prodotti gluten free.

Ma la domanda vera è…

Serve veramente in chi soffre di tiroide privarsi del glutine o è solo una moda?

Cerchiamo di capire…

Il glutine è un complesso di proteine che si trovano in alcune varietà di cereali come il frumento (grano), l’orzo, la segale, la spelta, il triticale, il kamut e il farro.

È intuitivo come il glutine sia contenuto nel pane, nei prodotti da forno e nella pasta.

Tuttavia il glutine è “nascosto” in molti in cibi e prodotti inaspettati, per esempio:

  • sughi e zuppe pronte con cereali vietati,
  • carne, pesce o formaggio impanati con cereali “vietati”,
  • frutta disidratata impanata (es. fichi secchi, etc),
  • cioccolato contenente cereali
  • bevande analcoliche all’avena, caffè d’orzo, birra da malto d’orzo o frumento
  • integratori e farmaci, che usano il glutine come addensante e conservante
  • prodotti per la cura della persona, come il sapone o la schiuma da barba.

Per i soggetti celiaci il glutine può essere mortale!

Per loro, che sono geneticamente predisposti, il glutine è un vero e proprio killer che scatena una infiammazione cronica dell’intestino tenue, che regredisce solo con l’eliminazione del glutine dalla dieta.

La malattia celiaca è conosciuta da molti anni, anche se ancora oggi la diagnosi non è così scontata perché la malattia può presentarsi in modo insidioso e con una sintomatologia variabile ed anche extra-intestinale ed espone al rischio di molte patologie.

In questo caso va seguita una dieta senza glutine per tutta la vita.

Certo è questa il caso estremo ma 1 su 100 italiani ha questo tipo di problema.

Una condizione meno grave ma più diffusa è quella della “Gluten Sensitivity” che è una sindrome (non una malattia) in cui si possono manifestare sintomi intestinali ed extra-intestinali simili a quelli presenti nella malattia celiaca in seguito all’ingestione di alimenti contenenti glutine in persone in cui è stata esclusa una malattia celiaca ed una allergia alle proteine del frumento.

In questo caso non si verifica una vera e propria atrofia dei villi intestinali e la sindrome non è su base autoimmunitaria.

È bene chiarire che questa sindrome non viene accettata come tale da tutti gli esperti.

Tuttavia, è una osservazione comune che molte persone trovano giovamento dalla esclusione del glutine dalla alimentazione. Non è giusto e utile ignorare questo ma bisogna cercare una spiegazione!

Il Dottor Alessio Fasano ne ha fornita una convincente

(Ann N Y Acad Sci. 2012 Jul; 1258(1): 25–33. Zonulin, regulation of tight junctions, and autoimmune diseases Alessio Fasano)

… ma partiamo dall’inizio.

L’intestino è naturalmente permeabile al passaggio di molecole dall’esterno, perché questo è il meccanismo che consente di assorbire i nutrienti vitali che vi giungono. Infatti, la regolazione della permeabilità intestinale è una delle funzioni di base delle cellule che coprono la parete dell’intestino.

Quando qualcuno che ha una gluten sensitivity mangia cibi che contengono glutine, le proteine del glutine passano dallo stomaco e arrivano al piccolo intestino, che risponde producendo zonulina, una proteina che può rompere le “giunzioni serrate” (chiamate tight junction) nel rivestimento intestinale.

A questo punto l’intestino diventa “permeabile”, troppo permeabile, e consente a cibo parzialmente indigerito, a tossine e a microbi, di essere assorbiti e di arrivare nella circolazione del sangue, dove non sarebbero arrivati se la barriera intestinale fosse stata normalmente funzionante.

Descrive bene la situazione il termine inglese Leaky Gut Syndrom, dove letteralmente l’intestino è definito “gocciolante” e non assolve alla sua funzione di barriera fra il mondo esterno e quello interno.

È intuitivo come in questa situazione il sistema immunitario sia in allarme e in confusione totale e se la situazione continua risponda generando infiammazione cronica o una malattia autoimmunitaria.

In realtà ogni volta che il corpo è esposto ad un pericolo esterno, il sistema immunitario memorizza la sua struttura, più specificamente la sua sequenza proteica, in modo tale da poter sviluppare una difesa all’agente patogeno e poter riconoscerlo in futuro, quando si dovesse ripresentare.

E la tiroide cosa centra con tutto questo?

Il fatto è il meccanismo di riconoscimento del sistema immunitario non è perfetto. Confonde il vaiolo (agente patogeno) con il vaiolo di bovino (vaccino), giusto?

Quindi se la struttura di una molecola (es. glutine) e quella di una molecola che è ritenuta un pericolo per l’organismo (tessuto tiroideo) sono abbastanza simili, il sistema immune può essere ingannato, attaccando le molecole che gli somigliano,

Per persone affette da una malattia della tiroide (una malattia autoimmunitaria in cui producono anticorpi “contro” la tiroide), il rischio è rappresentato dal glutine.

Il glutine è una proteina strutturalmente simile al tessuto della tiroide, e per questo il sistema immune la attacca.

Se hai una Tiroidite di Hashimoto, il risultato è che più glutine mangia più auto-anticorpi si formano, più la tua tiroide tende a distruggersi, più non produce ormoni tiroidei, più tu sviluppi sintomi da IPOTIROIDISMO.

Se hai una Malattia di Graves, il sistema immune si comporta in un altro modo. Gli anticorpi contro la tiroide si comportano come se fossero molecole di TSH, causando una eccessiva produzione di ormoni tiroidei e stimolando troppo il metabolismo e causando IPERTIROIDISMO.

Semplice… Si parla di mimica molecolare per definire questo fenomeno, caratteristico del nostro sistema immune.

E se la tua patologia tiroidea non fosse autoimmunitaria?

Qualche autore raccomanda a tutti i pazienti con disfunzioni della tiroide di evitare il glutine e la caseina per “prevenire” questo fenomeno di mimica molecolare.

Qual’è il rovescio della medaglia di una dieta senza glutine?

È che inevitabilmente l’indice e il carico glicemico salgono e questo è un fenomeno svantaggioso nelle persone ipotiroidee, dal momento che molte sono insulino e leptino resistenti.

Quindi, anche in questo caso, l’indicazione dell’esclusione dalla dieta del glutine varia da caso a caso e deve essere accompagnato da un pattern di esami specialistici ad hoc.

Perché i sintomi dell’ipotiroidismo sono così indecifrabili?

Come viene diagnosticato “generalmente” l’ ipotiroidismo?

  1. Attraverso esami del sangue eseguiti come controllo generale oppure per una patologia non tiroidea, in cui viene riscontrato “per caso” un TSH elevato.
  2. Attraverso esami del sangue eseguiti perché il paziente lamentava stanchezza o aumento ingiustificato del peso, in cui viene riscontrato un aumento del TSH.

Il fatto sconvolgente è che spesso l’ipotiroidismo viene diagnosticato solo dopo molti anni che la persona ne soffre.

I problemi principali nell’individuazione dell’ipotioridismo sono 5:

  1. Non vengono eseguiti gli esami giusti, oppure non viene approfondita la diagnosi con esami specifici e all’avanguardia (ne parliamo in altri post)
  2. L’ipotiroidismo su base autoimmune (secondario ad una tiroidite), spesso non presenta sintomi acuti manifesti
  3. I sintomi dell’ipotiroidismo sono numerosi e possono essere confusi con altre condizioni o malattie. Molti medici tendono ad imputare al paziente la “colpa” di fenomeni che non riescono a spiegare facilmente: e allora è colpa dello stress o della depressione e così via…
  4. Viene definito subclinico e non trattato un ipotiroidismo in cui il paziente non presenta sintomi franchi di ipotiroidismo, anche se in realtà ci sono sintomi “nascosti” che condizionano la vita e il benessere del paziente
  5. I sintomi dell’ipotiroidismo possono intersecarsi con quelli della pre menopausa o della menopausa

Una visione attenta della storia clinica della persona e dei suoi sintomi, insieme ad esami di approfondimento mirati, sono alla base della diagnosi precoce e sicura di ipotiroidismo.

I principali sintomi dell’ ipotiroidismo sono:

  • Stanchezza
  • Aumento di peso nonostante un ridotto introito energetico
  • Ipersensibilità al freddo e bassa temperatura corporea
  • Depressione o ansia
  • Umore mutevole
  • Sensazione di non essere più la persona di prima.
  • “Brain fog” – Cervello annebbiato
  • Sensazione che la testa galleggi
  • Perdita di memoria
  • Difficoltà di concentrazione
  • Sonnolenza
  • Lentezza
  • Mal di testa mattutini che scompaiono durante la giornata
  • Capelli secchi o sottili e che cadono facilmente
  • Prurito e pelle secca
  • Difficoltà a sudare
  • Stipsi e costipazione
  • Problemi digestivi cronici, dovuti alla mancanza di acidità nello stomaco (ipocloridria)
  • Scarsa circolazione e intorpidimento di mani e piedi
  • Crampi muscolari a riposo
  • Aumento della sensibilità a infezioni batteriche o virali e difficoltà di guarigione
  • Mestruazioni irregolari o aborti spontanei (donna)
  • Disfunzione erettile (uomo)
  • Rigonfiamento del volto (edema), di mani e piedi
  • Comparsa del gozzo o di un rigonfiamento del collo
  • Perdita delle sopracciglia più esterne
  • Riduzione delle frequenza cardiaca (bradicardia)
  • Colesterolo alto (ipercolesterolemia)

Però attenzione! Non è così semplice.

Per esempio…

Se è vero che la maggior parte dei pazienti ipotiroidei tende ad aumentare di peso senza motivo pur facendo una dieta equilibrata, ci sono pazienti ipotiroidei o con la Tiroidite di Hashimoto che si mantengono magri o addirittura dimagriscono. Per sopperire alla carenza di ormoni tiroidei, infatti, il surrene può reagire producendo più catecolamine, determinando questo effetto.

A questi sintomi si possono sovrapporre quelli della pre-menopausa o della peri-menopausa (in cui vi può essere estrogeno dominanza), oppure a quelli della menopausa.

L’Estrogeno Dominanza

Nella donna l’ESTROGENO DOMINANZA, ovvero la riduzione relativa di PROGESTERONE maggiore rispetto a quella degli ESTROGENI (per cui gli estrogeni risultano “dominanti” sul progesterone) può far comparire sintomi insidiosi, ma che condizionano il benessere della donna.

I sintomi di dominanza estrogenica sono:

  • ansia,
  • irritabilità,
  • aumento di peso (soprattutto aumento del grasso addominale),
  • ritenzione di liquidi,
  • stanchezza,
  • depressione,
  • facilità al pianto,
  • sbalzi d’umore,
  • cicli irregolari,
  • desiderio di dolci,
  • sindrome premestruale etc.

Questi sintomi vengono spesso genericamente attribuiti allo stress (che in realtà può incrementare l’estrogeno dominanza) o a caratteristiche personali, ma la donna sente che qualcosa è cambiato dentro di lei.

Al momento della MENOPAUSA a questi si possono sovrapporre altri sintomi:

  • vampate,
  • sudorazione notturna,
  • sbalzi d’umore,
  • irritabilità,
  • perdita della memoria,
  • diminuzione del desiderio sessuale,
  • secchezza (pelle, capelli, vagina),
  • perdita di capelli,
  • osteoporosi etc.

Detto questo, e in relazione anche alle varie sfaccettature che possono derivare dal funzionamento del “Complesso Tiroideo” (viene spiegato nell’Ebook scaricabile gratuitamente), si capisce come per avere le idee chiare siano essenziali gli esami di approfondimento specialistici così come una visione a 360° della persona.

Sei sicuro che lo IODIO ti faccia bene?

Se chiedi consiglio a qualcuno o navighi sul web per cercare un integratore che potrebbe “stimolare tiroide”, probabilmente ti verrebbe suggerito di acquistare un integratore a base di IODIO.

Chi ti ha dato questo suggerimento lo ha fatto in buona fede,  ma non sa che è la cosa peggiore che avrebbe potuto suggerirti.

Nonostante le credenze popolari, prendere iodio può peggiorare la funzione tiroidea.
Ora seguimi, il ragionamento non è difficile.

  • È vero che lo iodio è il maggior stimolante dell’enzima chiamato tireo-perossidasi (TPO) che gioca un ruolo nella produzione del TSH da parte dell’ ipofisi, che a sua volta stimola la sintesi degli ormoni tiroidei da parte della tiroide.
  • È vero che se soffri di ipotiroidismo, la tiroide non produce abbastanza ormoni tiroidei.

In questa situazione sembra avere senso dare iodio. Hai bisogno che il TSH aumenti la sintesi di ormoni tiroidei e iodio serve proprio a questo.

Sfortunatamente la logica non è l’unico fattore che entra in causa nelle malattie autoimmunitarie e se hai una Tiroidite di Hashimoto hai una malattia autoimmunitaria.

Quando hai una la Tiroidite di Hashimoto, il sistema immune scambia l’ormone tiroideo per un intruso e attacca la tiroide.
Più ormone tiroideo vi è nel corpo (e se prendi più iodio se ne forma di più), più il sistema immune attacca la tiroide. Questo è il fattore chiave…

Prendere iodio per chi ha una malattia immune della tiroide è come gettare benzina sul fuoco.

Il tuo sistema immunitario andrà in tilt dal momento che lo iodio stimola la tiroide a produrre più ormoni.

Se si è certi o si sospetta di avere una malattia autoimmunitaria è meglio interrompere l’assunzione di supplementi a base di iodio e ed eventualmente ridurre i cibi che lo contengono di più, come pesce di mare, latte, yogurt, uova, etc.

In realtà la cosa migliore per tutti, prima di prendere integratori a base di iodio, è verificare qual’è il livello eseguendo l’esame delle urine nelle 24 ore e ricercando la IODIURIA (lo iodio emesso con le urine).

Per contro, se sei carente di iodio, e viene opportunamente integrato con lo iodio nella quantità giusta, potrai risolvere il tuo problema di stanchezza che avevi da tempo memorabile e magari evitare un farmaco sostitutivo degli ormoni tiroidei come la levotiroxina.

Questo metodo consente di assumere l’integratore se veramente ne hai bisogno.

Attenzione, anche integratori a base di Fucus contengono molto iodio e comunque è necessario leggere con attenzione le etichette degli integratori prima di acquistarli ed assumerli.

Sia chiaro… Non è assolutamente vietato assumere iodio se hai una tiroidite di Hasmimoto. Magari lo hai fatto in passato o lo stai facendo ora. Il tuo medico potrà guidarti se ha il sufficiente background scientifico.

Certo è che un conto è andare alla cieca nell’integrazione, seguendo le proprie convinzioni, un conto è verificare se nel tuo corpo lo iodio presente è troppo o troppo poco e orientarsi anche in base a questo.

Questo tipo di approccio è incentrato sulla persona a 360° ed è l’unico che porta a risultati veri.