La Timosina alfa 1 e le sue azioni sul sistema immunitario

È stata recentemente pubblicata sull’autorevole Word Journal of Virology una interessante revisione completa della letteratura sulla Timosina alfa 1 (TA1).

La Timosina Alfa 1 è un peptide con note proprietà senolitiche e pleiotrofiche in grado di modulare il sistema immunitario.

La TA1 rientra nella categoria dei peptidi a cui appartengono diverse molecole di segnale che svolgono numerose azioni sull’invecchiamento e i processi cellulari e sono la nuova frontiera della medicina Anti-Aging di avanguardia.

L’utilizzo della Timosina 1 alfa per il potenziamento del sistema immunitario, in caso di autoimmunità, sindrome di Lyme o per contrastare l’immuno-senescenza è una realtà.

Pensiamo di farvi cosa gradita nel proporvi la traduzione in lingua italiana dell’articolo. Non è una traduzione letterale, ma segue in modo preciso la review, rimandando solo a questa in caso di approfondimenti.

Il linguaggio è chiaramente  tecnico / scientifico e non lo abbiamo semplificato per non snaturare il significato dell’articolo originale.

Sottolineiamo il fatto che, nonostante l’articolo tocchi il tema dell’utilizzo della Timosina alfa 1 nel trattamento dei pazienti COVID 19, conclude che sono necessari ulteriori studi per valutare questo utilizzo (“for this purpose (COVID-19 infection), we can conclude that further studies are mandated for using thymosin alpha 1 in these patients”).


Thymosin alpha 1: A comprehensive review of the literature

Timosina alfa 1: una revisione completa della letteratura

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7747025/

ABSTRACT

La timosina alfa 1 (PA1) è un peptide presente naturalmente nel timo a cui da tempo è stato riconosciuto un ruolo sulla modifica, il potenziamento e il ripristino della funzione immunitaria.

La timosina alfa 1 è stata utilizzata nel trattamento degli stati di immunodeficienza e nei tumori maligni, come potenziatore della risposta al vaccino e come mezzo per frenare la morbilità e la mortalità nella sepsi e in numerose infezioni.

Gli studi hanno evidenziato che la timosina alfa 1 potrebbe aiutare a migliorare la prognosi nei malati gravi affetti da Covid 19, riparando i danni causati dall’iperattivazione dell’immunità linfocititaria e l’eccessiva attivazione delle cellule T.

In questa review  viene discussa la letteratura chiave sui meccanismi di azione e gli usi clinici attuali della timosina alfa 1.

Considerando le note proprietà biochimiche validate, tra cui quelle antibatteriche e antivirali e le nuove promettenti scoperte sulle possibili applicazioni della timosina,  gli autori ritengono che la timosina alfa 1 meriti ulteriori indagini riguardo alle sue proprietà antivirali e al possibile utilizzo nel trattamento della sindrome respiratoria acuta grave da COVID 19.

INTRODUZIONE

La timosina alfa 1 è un peptide di 28 aminoacidi originariamente isolato dal timo che è stato ampiamente studiato per quanto riguarda le sue funzioni sul sistema immunitario.

Alla timosina alfa 1 è stata ampiamente riconosciuta una azione di potenziamento, bilanciamento e ripristino  del sistema immunitario e come tale è stato utilizzata in diversi contesti clinici e di ricerca.

La forma sintetica della timosina alfa 1, nota come Timalfasina, è approvata in più di 35 Paesi per il trattamento dell’epatite B e C e come potenziatore immunitario in molte altre malattie. In Italia e in altri Paesi viene commercializzata come Zadaxin (ndt.).

Più specificamente, è stata di beneficio nell’aumentare la funzione immunitaria nelle immunodeficienze, nell’artrite psoriasica, nell’invecchiamento, nonché per aumentare la risposta ai vaccini e limitare la tossicità indotta dalla chemioterapia.

Inoltre si è dimostrata utile nel trattamento di pazienti oncologici, in particolare quelli con carcinoma epatocellulare, a cellule renali e nel carcinoma polmonare non a piccole cellule.

Ultimo, ma non meno importante, è stato utilizzato in numerose infezioni, come l’HIV, lo Pseudomonas, così come nella sepsi e recentemente nei pazienti gravemente ammalati da Coronavirus 2019 (COVID-19).

Alla luce dell’attuale situazione pandemica, si stanno compiendo sforzi in tutto il mondo per comprendere l’impatto dell’infezione da COVID 19 sul sistema immunitario nella speranza di avvicinarsi ad un trattamento efficace.

A tal fine,  vale la pena di indagare ulteriormente la letteratura scientifica pubblicata sulla timosina alfa 1.

In questa review, gli autori propongono di comprendere le caratteristiche della timosina alfa 1, della sua struttura chimica e delle proprietà biologiche fino alle sue applicazioni cliniche, la  sicurezza e l’efficacia per valutare se può essere una possibile opzione terapeutica per ridurre la mortalità e migliorare l’outcome dei pazienti COVID-19.

ESTRAZIONE E ANALISI

La timosina alfa 1 è un ormone peptidico prodotto per via endogena dal timo.

Potenzia la risposta immunitaria mediata dalle cellule T tramite la differenziazione e la maturazione delle cellule  progenitrici T, l’attivazione delle cellule dendritiche e Natural killer e la stimolazione dell’infiammazione mediata dalle citochine.

È stata per la prima volta isolata da timo di bovino nel 1977.

Attualmente esistono diversi modi per ottenere la timosina alfa 1 bioattiva (si rimanda all’articolo originale per la descrizione completa).

ATTIVITÀ BIOLOGICHE E BENEFICI PER LA SALUTE

La timosina alfa 1 funziona come un toll-like recepto agonista  (TLR) 9 e  TLR-2,  sia nelle cellule mieloidi che dendritiche.

Attraverso i TLR, la timosina alfa 1 può stimolare la risposta immunitaria adattativa, che è essenziale per combattere le infezioni virali, batteriche, fungine e i tumori, nonché per la stimolazione dell’immunità umorale.

Inoltre, la timosina alfa 1 può aumentare i livelli di IL-2, IL-10, IL-12, interferone (IFN) -α e IFN-γ.

Il ruolo della timosina alfa 1 nello stimolare la produzione di anticorpi dipendenti dalle cellule T è anche il motivo per cui è stata considerata un adiuvante per migliorare la risposta ai vaccini.

La TA1 ha una vasta gamma di attività biologiche che vanno da quelle anti-tumorali a quelle immunomodulanti.

La risposta immunitaria della la timosina alfa 1 è dovuta alla sua azione nell’elevare l’attività di maturazione delle cellule T nelle Cellule T CD4 + / CD8 +.

Funziona attivando direttamente le cellule natural killer e le CD8 attraverso le quali sopprime le cellule infettate dal virus.

La TA1 inibisce l’ IL-1β e  il fattore di Tumor Necrosis Factor-α, determinando una riduzione della risposta infiammatoria che è molto utile in condizioni come l’epatite cronica e la pancreatite acuta.

Non solo svolge un ruolo nel migliorare l’espressione delle citochine, ma anche migliora la presentazione dei complessi di istocompatibilità e degli antigeni virali sulle rispettive cellule bersaglio infettate  e diminuisce la replicazione virale.

Naylor et coll. hanno sottolineato che la timosina alfa 1 non ha un solo bersaglio, ma piuttosto una vasta gamma di bersagli per la sua attività di potenziamento del sistema immunitario.

La TA1 ha mostrato la capacità di frenare la crescita tumorale, da cui il suo utilizzo nel trattamento di vari tipi di cancro.

Ha mostrato proprietà antiproliferative che sono state evidenziate nelle metastasi del tumore al polmone e al fegato.

Secondo studi condotti da Moody et al., l’attività antitumorale della timosina alfa 1 ha funzionato meglio con i tumori di piccole dimensioni.

Nel complesso, la timosina alfa 1 funziona tramite due meccanismi principali:

stimolando il sistema immunitario o per effetto delle le sue attività antiproliferative sulle cellule tumorali.

Armutcu et al. hanno studiato l’azione protettiva della timosina alfa 1 contro i danni ossidativi, come effetto della sua azione sulla sulla superossido dismutasi epatica e sulla glutatione perossidasi.

Poiché la timosina alfa 1 è un polipeptide naturalmente presente nel timo, svolge una funzione ruolo fondamentale nel controllo dell’infiammazione, dell’immunità e della tolleranza.

La Timosina alfa 1 ha un’azione immunomodulante attraverso la sua interazione sui TLR (toll like receptors).

A causa dell’azione della timosina alfa 1 su altri tipi di cellule, viene utilizzata come agente terapeutico per le malattie con evidente disfunzione immunitaria.

Sono stati condotti con risultati promettenti studi clinici con la timosina alfa 1 per malattie come la sindrome di DiGeorge, il cancro del polmone non a piccole cellule, il carcinoma epatocellulare, l’epatite B e C, l’HIV e il melanoma.

L’FDA ha approvato il farmaco Timalfasina (Zadaxin) per il trattamento del melanoma maligno, dell’epatite B cronica attiva, della sindrome di DiGeorge e del carcinoma epatocellulare per il suo effetto immunomodulante e antitumorale.

APPLICAZIONI CLINICHE E COMMERCIALI

La timosina alfa 1 è stata ampiamente testata e la sua forma sintetica, la timalfasina (Zadaxin ndt.),  è stata ampiamente utilizzata in campo clinico.

Alcune delle sue applicazioni sono le seguenti:

Epatite B

La sicurezza e l’efficacia della timosina alfa 1 nei pazienti con epatite B cronica è stata valutata in diversi studi clinici.

La TA1 1 è stata testata in monoterapia così come in combinazione con interferone alfa e altri analoghi nucleosidici.

È stata riscontrata una percentuale di risposta virologica completa (eliminazione dell’acido desossiribonucleico sierico dell’HBV e dell’antigene dell’epatite B) del 40,6% nei pazienti trattati con 1,6 mg di Timosina alfa 1 sottocute due volte a settimana e il 26,5% nei pazienti trattati con lo stesso regime per 52 settimane.

Tuttavia, è importante sottolineare come che il trattamento dell’epatite B utilizzando la timosina alfa 1 è stata utilizzato solo nell’era dell’interferone ed è ora considerato obsoleto dopo la scoperta di agenti antivirali diretti.

Epatite C

La timosina alfa 1 in monoterapia non sembra essere utile nel trattamento dell’epatite C. Tuttavia, la terapia di combinazione di timosina alfa 1 e interferone alfa 2a potrebbe reprimere efficacemente la replicazione virale nei pazienti con epatite C.

È stata anche testata la timosina alfa 1, in combinazione con l’interferone alfa 1 nel trattamento in pazienti con epatite cronica C.

Inoltre, la TA1 è ben tollerata, senza effetti avversi significativi osservati.

Una meta-analisi condotta da Sherman, ha incluso molte evidenze che dimostrano la superiorità della combinazione di timosina alfa 1 e interferone alfa 1 rispetto all’interferone alfa in mono-terapia. Da sottolineare come, così come per l’epatite B, anche per l’epatite C, il trattamento con timosina alfa 1 è stata soppiantato a favore di quello con l’antivirale diretto.

Sepsi

L’utilizzo di timosina alfa 1 in pazienti con sepsi ha mostrato una riduzione della mortalità dovuta a insufficienza multi-organo, che è la principale causa di morte nella sepsi.

Infezione da HIV

La terapia di combinazione di timosina alfa 1, interferone alfa 1 e zidovudina è stata ben tollerata nei pazienti affetti da HIV.

La timosina alfa 1 migliora la funzione e aumenta il numero di cellule T CD4 +, mentre diminuisce la carica virale.

È stata dimostrata la sicurezza e l’efficacia della timosina alfa 1 in combinazione con terapia antiretrovirale nella stimolazione del sistema immunitario.

È stato dimostrato che la timosina alfa 1 sta bene tollerata e potrebbe aumentare i livelli delle cellule di segnale T nei pazienti con malattia da HIV avanzata.

L’uso prolungato di alte dosi la timosina alfa 1 sarebbe più efficace.

Pseudomonas – Pazienti sottoposti a trapianto di midollo osseo

La TA1 è stata utilizzata anche in altre infezioni come quelle da Pseudomonas o quelle che seguono il trapianto di midollo osseo.

Tossicità della muffa

Questo peptide timico ha la capacità di innescare le cellule dendritiche e di potenziare la risposta Th1 e attivare le cellule T reg in modo da bilanciare la risposta infiammazione e antifungina.

La risposta Th1 attiverà la produzione di citochine Th2 (IFN-γ, IL-2, IL-12, IL-18), stimolando l’attività fagocitaria. Quindi, verranno prodotte cellule citotossiche CD4 +, CD8 + e T e anticorpi opsonizzanti che generano un effetto protettivo contro i funghi patogeni.

Deficienza immunitaria

Il trattamento con timosina alfa 1 serve come stimolo per l’espressione del recettore IL-2 e la sua interiorizzazione. Ha anche un effetto riparatore su pazienti con soppressa attività delle Natural Killer e con immunodeficienza.

Agendo come Toll-like receptor nelle cellule dendritiche mieloidi e plasmacitoidi, la timosina alfa 1 stimola le vie di segnale e avvia la produzione di citochine. Pertanto, la timosina alfa 1 ha mostrato risultati incoraggianti sul possibile trattamento di pazienti immunocompromessi. Nel complesso, migliora funzione del sistema immunitario senza causare eventi avversi.

Artrite psoriasica

La timosina alfa 1 è un potente modulatore dell’immunità e dell’infiammazione.

La prova è che le malattie caratterizzate dalla disregolazione del sistema immunitario e dell’infiammazione, come l’artrite psoriasica, sono associate ai livelli sierici di timosina alfa 1 inferiori a quelli degli individui sani.

I dati sono coerenti con il ruolo della timosina alfa 1 come regolatore dell’immunità, della tolleranza e dell’infiammazione in pazienti con artrite psoriasica.

Adiuvante dei Vaccini

L’utilizzo della timosina alfa 1 come adiuvante del vaccino antinfluenzale ha mostrato risultati promettenti, soprattutto tra i pazienti anziani e immunocompromessi.

La timosina alfa 1 ha anche dimostrato di migliorare l’immunogenicità del vaccino antinfluenzale.

Diminuzione della tossicità dalla chemioterapia

Studi clinici dimostrano che la timosina alfa 1 è stata utilizzata in pazienti con differenti tumori maligni, riducendo la tossicità della chemioterapia e migliorando la qualità della vita.

Utilizzando questo farmaco si è osservato un aumento del numero e delle funzioni delle cellule immunitarie e una  riduzione della tossicità da chemioterapia. In generale, si sono verificate meno infezioni durante la chemioterapia, la neurotossicità è diminuita e la qualità di vita è migliorata.

Danno ossidativo, lesioni pancreatiche e diabete

Molti studi hanno dimostrato che la timosina alfa 1 ha effetti protettivi contro danno ossidativo. Amplificando l’attività della catalasi, della superossido dismutasi e della glutatione perossidasi, la timosina alfa 1 riduce la produzione di specie reattive dell’ossigeno e previene il danno ossidativo al tessuto epatico.

La timosina alfa 1 ha ben documentate proprietà antiproliferative osservate su vari tipi di  neoplasie e questo è il risultato della sua capacità di diminuire lo stress ossidativo.

Aiuta anche a migliorare il danno pancreatico e il risultate diabete riducendo la produzione di malondialdeide e migliorando la funzione della superossido dismutasi e della catalasi. Le  proprietà antiossidanti della timosina alfa 1 sono considerate di grande beneficio nel trattamento delle lesioni pancreatiche.

Applicazioni nei pazienti oncologici

Diversi studi hanno mostrato risultati promettenti con l’uso di timosina alfa 1 in pazienti con melanoma metastatico, tumori della testa e del collo, cancro ai polmoni, tumore al seno e carcinoma epatocellulare. La timosina alfa 1 è indicata come adiuvante per l’immunodepressione e soppressione immunitaria indotta dalla chemioterapia e nell’immunodeficienza. Inoltre, è stato dimostrato che la timosina alfa 1 in combinazione con la chemioterapia o la radioterapia migliora il tasso di sopravvivenza nei pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule, che rappresenta l’85% di tutti i tumori polmonari ed è noto per la sua bassa reattività alla chemioterapia.

SICUREZZA E DOSAGGIO

La timosina alfa 1 viene somministrata per via iniettiva sottocutanea due volte a settimana. Il dosaggio singolo standard varia da 0,8 a 6,4 mg, mentre dosi multiple variano da 1,6 a 16 mg per cinque-sette giorni.

Utilizzata in varie malattie come epatopatie, cancro e malattie autoimmuni, la timosina alfa 1 ha dimostrato di essere ben tollerata e sicura.

EFFETTI NEGATIVI E CONTROINDICAZIONI

La Timalfasina, la forma sintetica della timosina alfa 1, è generalmente ben tollerata. Gli gli effetti collaterali più comuni includono irritazione locale, arrossamento o fastidio nel sito di iniezione. Negli studi clinici, la combinazione di Timalfasina con interferone 2b ha mostrato effetti collaterali rari come febbre, affaticamento, dolori muscolari, nausea, vomito e neutropenia rispetto all’interferone-alfa 2b da solo o con placebo.

La Timalfasina è controindicata nei pazienti con ipersensibilità alla  timosina alfa 1 o a uno qualsiasi dei suoi componenti. Per la azione immunomodulante della timalfasina, è controindicata anche nei pazienti immunosoppressi, come i riceventi trapianto d’organo, a meno che i benefici del il trattamento non superino i rischi.

EVIDENZE DA STUDI CLINICI SULL’UOMO

La timosina alfa 1 è stata utilizzata in molte condizioni per potenziare l’immunità cellulo mediata e per il trattamento di una moltitudine di malattie.

È stato condotto uno studio sull’effetto della timosina alfa 1 nel tumore al seno delle linee  ZR-75-1, MCF-7, MDA-MB-231, MCF-10A e BT-549.

I risultati hanno mostrato che la timosina alfa 1 ha inibito la proliferazione cellulare e l’apoptosi indotta nella leucemia umana, nel cancro del polmone non a piccole cellule, nel melanoma e in altri tumori. L’apoptosi è stata indotta in modo significativo nel cancro al seno e nelle linee cellulari di leucemia con una concentrazione di timosina alfa 1 da 100 a 160 IM. In generale, lo studio ha rivelato che la timosina alfa 1 potrebbe essere un possibile approccio al trattamento del cancro al seno .

Altri studi dimostrano che la timosina alfa 1 potrebbe essere una terapia promettente per la sepsi grave.  In sei ospedali universitari in Cina sono stati condotti vari studi multicentrici, su larga o piccola scala, in singolo cieco e randomizzati, con lo scopo di indagare il ruolo vitale che la timosina alfa 1 svolge nella terapia della sepsi.

I pazienti ricoverati nel reparto di terapia intensiva con sepsi grave sono stati distribuiti  in modo randomizzato tra il gruppo di controllo e il gruppo timosina alfa 1.

A loro sono state somministrate sottocute 1,6 mg di timosina alfa-1 oppure soluzione fisiologica (nel gruppo di controllo) due volte al giorno per cinque giorni; successivamente, la dose è stata ridotta a una volta al giorno.

I risultati hanno mostrato che il gruppo timosina alfa 1 aveva un tasso di mortalità del 9,0% inferiore rispetto al gruppo di controllo.

Come discusso in precedenza, una delle proprietà più importanti della timosina alfa 1 è il suo ruolo nell’attivazione delle risposte delle cellule T nel corpo.

Uno studio su sette pazienti con epatite cronica HBV correlato ha cercato di identificare le proprietà immunomodulatorie della timosina alfa 1. Ogni individuo è stato trattato per un totale di 24 settimane con un’iniezione sottocutanea sei volte alla settimana per le prime 2 settimane e poi due volte alla settimana per altre 22 settimane. Successivamente, sono state eseguite biopsie epatiche per raccogliere i dati.  I livelli sierici di alanina transaminasi sono migliorati e si sono normalizzati nel 42,9% dei pazienti dopo 48 settimane di trattamento.

Tuttavia, la scomparsa completa del DNA del virus dell’epatite B è stata osservata nel 28,6% dei casi. La timosina alfa 1 ha anche influenzato la maturazione dei linfociti T, dimostrando le sue elevate proprietà immunomodulatorie. Nel complesso, è stato riportato che la terapia di combinazione con timosina alfa 1 e IFN-α ha un’attività biologica dimostrabile nei pazienti con epatite virale.

TIMOSINA ALPHA 1 / TIMALFASINA VS TIMOSINA BETA 4 / TIMBETASINA

La timosina alfa 1 e la timosina beta 4 sono due peptidi secreti dal timo e hanno composizioni chimiche e azioni immunologiche molto diverse.

Queste proteine ​​sono separate dalla frazione di timosina 5 e hanno il potenziale per influenzare una serie di funzioni immunitarie nei mammiferi.

Si ritiene che la timosina alfa 1 sia responsabile del potenziamento del sistema immunitario attraverso il miglioramento dell’immunità cellulo-mediata negli animali senza il timo.

La timosina beta 4 appartiene alla famiglia delle proteine ​​sequestranti i monomeri di actina che regolano essenzialmente l’actina non polimerizzata e hanno un ruolo attivo nel mantenere i monomeri di actina G liberi nel citoplasma.

La timosina alfa 1 ha mostrato una azione clinicamente rilevante in vari tipi di cancro, in particolare il carcinoma epatocellulare, il cancro ai polmoni e i melanomi. La timosina beta 4 ha una forte risposta alle cellule infettate da virus. Attualmente è in fase di sperimentazione come possibile terapia contro l’influenza e l’HIV.

LA TIMOSINA ALFA 1 POTREBBE MIGLIORARE I RISULTATI IN COVID-19 PAZIENTI?

La pandemia COVID-19 ha avuto un impatto mondiale e numerosi studi hanno dimostrato gli effetti immunologici di questa malattia. Tutti i paesi colpiti da SARS-CoV-2 sono concentrati sulla ricerca di un trattamento efficace.

La timosina alfa 1 ha un ruolo molto importante sia nel controllo dell’immunità che nell’infiammazione. Finora è stato utilizzato in varie condizioni patologiche: infezioni, sepsi, immunodeficienze e tumori maligni, solo per citarne alcune.

È stato anche scoperto che riduce la mortalità in molte di loro, come la sepsi e l’infezione da HIV. Sebbene gli studi clinici sull’efficienza della timosina alfa 1 nel trattamento del COVID-19 siano ancora limitati, sarebbe di grande valore esplorare ulteriormente i potenziali benefici che questo farmaco può apportare nel mitigare gli effetti devastanti dell’attuale pandemia.

Un recente studio su pazienti COVID-19 ha dimostrato come la timosina alfa 1 abbia promosso in modo significativo la proliferazione delle cellule T attivate e questo ha evitato la linfopenia nei pazienti infetti. In totale, hanno partecipato allo studio  25 pazienti in condizioni critiche. Undici di loro hanno ricevuto un trattamento giornaliero di timosina alfa 1 per una settimana, mentre il resto dei pazienti non è stato trattato. I dati mostrano che i pazienti nel gruppo in trattamento con timosina alfa 1 avevano un numero maggiore di linfociti rispetto ai pazienti senza trattamento.

In un altro studio retrospettivo condotto in Cina, i pazienti del gruppo di trattamento hanno ricevuto iniezioni sottocutanee di 10 mg di timosina alfa 1 una volta al giorno per almeno sette giorni consecutivi. L’integrazione di timosina alfa 1 ha mostrato un miglioramento e il ripristino della conta delle cellule T nei pazienti COVID-19 con linfocitopenia grave e, alla fine, l’integrazione di timosina alfa 1 ha ridotto la mortalità nei pazienti gravemente malati di COVID-19.

Nel trattamento con COVID-19, è stato ipotizzato di somministrare timosina alfa 1 come iniezione intramuscolare per 7 giorni per i pazienti che hanno cellule CD8 inferiori a 400 / μL e cellule CD4 inferiori a 650 / μL.

Questo è postulato sulla base della comprensione che l’induzione della timosina alfa 1 ha mostrato un miglioramento del numero di cellule T nei pazienti anziani con comorbidità come ipertensione e malattie cardiovascolari.

È stato anche suggerito che la timosina alfa 1, assunta prima della somministrazione di metilprednisolone in pazienti con COVID-19, possa prevenire la morte dei timociti indotta dagli steroidi.  La National Health Commission della Cina ha incluso la timosina alfa 1 come opzione di trattamento alternativo per i pazienti con linfocitopenia o immunodeficienza. Attualmente, ci sono vari studi clinici in corso registrati su clinicaltrials.gov di timosina in pazienti COVID-19.

CONCLUSIONI

La timosina alfa 1 è un peptide del timo con riconosciute capacità immunomodulanti e azioni biologiche.

L’analogo sintetico della timosina alfa 1, la Timalfasina, induce la produzione di IL-2 e del fattore di crescita delle cellule B, la differenziazione dei linfociti immaturi del sangue del cordone ombelicale, aumenta l’efficienza della presentazione dell’antigene ai macrofagi e la modulazione e la normalizzazione della funzione e del numero dei linfociti T.

Gli effetti dell’immunostimolazione avvengono attraverso l’azione dei TLR nelle cellule dendritiche mieloidi e plasmacitoidi con la produzione di citochine. Gli effetti immunosoppressivi dell’involucro virale SARS-CoV-2 nell’indurre la tempesta citochimica può essere modulata con la terapia con timosina alfa 1.

Ciò sarebbe particolarmente utile nel prevenire gli eventi catastrofici della la tempesta di citochine nelle forme più gravi.

La timosina alfa 1 e il suo analogo sintetico timalfasina hanno profili di sicurezza ben studiati e sono ben tollerati con solo effetti collaterali minori.

Studi clinici hanno dimostrato il ruolo significativo della timosina alfa 1 nelle risposte immunitarie e infiammatorie e un’ampia ricerca ha dimostrato il suo uso efficace in una miriade di malattie che vanno dall’epatite e dall’HIV alle deficienze immunitarie e ai tumori, nonché il suo uso come adiuvante dei vaccini.

Nel contesto dell’infezione da COVID-19, è stato dimostrato che riduce la mortalità nei soggetti con malattia grave e aiuta a ripristinare alcune funzioni immunitarie aumentando l’attività timica. Ulteriori studi sarebbero estremamente utili per determinare se la timosina alfa 1 può servire come agente terapeutico o in combinazione con altri trattamenti per mitigare la progressione e la gravità della malattia. A tal fine, possiamo concludere che ulteriori studi sono necessari per valutare l’utilizzo di timosina alfa 1 in questi pazienti.

 

Si sottolinea come la terapia con Timosina alfa 1 può essere effettuata solo da medici qualificati.

Disclaimer: le informazioni sono solo per uso divulgativo. Tiroide360 declina ogni responsabilità in caso di uso improprio dei prodotti in oggetto.

Evidenze degli effetti del COVID-19 sulla Tiroide: un nuovo studio

Effetti del COVID 19 sulla tiroide

È stato recentemente pubblicato su Medscape un interessante articolo sugli effetti del COVID 19 sulla tiroide. L’articolo fa riferimento anche alla corrispondenza pubblicata su The Lancet Diabetes and Endocrinology dal gruppo italiano del Dipartimento di Endocrinologia del Policlinico di Milano.

Vengono descritte le caratteristiche della Tiroidite subacuta che può accompagnarsi al COVID 19 e rafforzate le evidenze che dimostrano come  i disturbi della tiroide non sembrano aumentare il rischio di sviluppare COVID-19.

Ho pensato di tradurre per voi questi articoli per farvi rimanere aggiornati su questa attuale tematica.

Essendo un articolo scientifico il linguaggio può non essere di semplice comprensione per i non addetti ai lavori, e questo può essere un limite. Tuttavia ho preferito riportare le parole degli autori per essere il più possibile fedele al loro messaggio.

Buona lettura!

Evidence Mounts for COVID-19 Effects on Thyroid Gland

(Evidenze degli effetti del COVID-19 sulla Tiroide).
Nancy A. Melville, 18 Agosto 2020

I ricercatori hanno osservato che i tassi di tireotossicosi sono significativamente più alti tra i pazienti critici con COVID-19 rispetto ai pazienti che sono gravemente malati ma che non hanno COVID-19, suggerendo una forma atipica di tiroidite correlata alla nuova infezione da coronavirus.

La Prof.ssa Ilaria Muller e del Dipartimento di Endocrinologia, IRCCS Fondazione Ca ‘Granda Ospedale Maggiore Policlinico di  Milano e il suo gruppo hanno pubblicato una interessante corrispondenza su The Lancet Diabetes and Endocrinology e affrontato questo argomento su Medscape Medical News del 18 agosto 2020.

Gli autori riportano: “Suggeriamo la valutazione di routine della funzione tiroidea nei pazienti con COVID-19 che richiedono cure ad alta intensità perché spesso si presentano con tireotossicosi a causa di una forma di tiroidite subacuta correlata alla SARS-CoV-2”.

In particolare, lo studio – che ha confrontato i pazienti in terapia intensiva in condizioni critiche che avevano COVID-19 con quelli che non avevano COVID-19 o che avevano casi più lievi di COVID-19 – indica che i disturbi della tiroide non sembrano aumentare il rischio di sviluppare COVID-19.

“È importante sottolineare che non abbiamo riscontrato una maggiore prevalenza di disturbi tiroidei preesistenti nei pazienti con COVID-19 (contrariamente ai primi rapporti dei media)”, afferma la Prof.ssa Muller.
“Finora, le osservazioni cliniche non supportano questa paura e dobbiamo rassicurare le persone con disturbi della tiroide, poiché tali disturbi sono molto comuni tra la popolazione generale”, ha detto la Prof.ssa Muller.

COVID 19 e Tiroidite Subacuta

Eppure esistono prove emergenti di una relazione COVID-19 / tiroide, ha riportato su Medscape Medical News la Dott.ssa Angela M. Leung, della Divisione di Endocrinologia, Diabete e Metabolismo, Dipartimento di Medicina, UCLA David Geffen School of Medicina, Los Angeles, California.

“Dati gli impatti sanitari dell’attuale pandemia COVID-19 in tutto il mondo, questo studio fornisce alcune informazioni sia sulla potenziale infiammazione sistemica che sull’infiammazione specifica della tiroide del virus SARS-Cov-2”, riporta la Dott.ssa Leung.
“Questo studio si unisce ad almeno altri sei che hanno riportato una presentazione clinica simile alla tiroidite subacuta in pazienti critici con COVID-19”, ha osservato Leung.

Torniamo allo studio del Dipartimento di Endocrinologia, IRCCS Fondazione Ca ‘Granda Ospedale Maggiore Policlinico di  Milano.

La Prof.ssa Muller ha spiegato che i dati preliminari del suo Istituto hanno mostrato anomalie della tiroide in pazienti gravemente malati di COVID-19. Lei e il suo team hanno esteso la valutazione per includere i dati sulla tiroide e altri dati su 93 pazienti con COVID-19 che sono stati ammessi in unità di cura ad alta intensità (HICU) in Italia durante la pandemia.

Questi dati sono stati confrontati con i dati di 101 pazienti in condizioni critiche ricoverati negli stessi IAP nel 2019 che non avevano COVID-19.

Nell’analisi è stato incluso anche un terzo gruppo di 52 pazienti con COVID-19 che sono stati ammessi in unità di cura a bassa intensità (LICU) in Italia nel 2020.

L’età media dei pazienti nel gruppo HICU 2020 era di 65,3 anni; nel gruppo HICU 2019 era di 73 anni; e nel gruppo LICU, era di 70 anni (P = .001). Inoltre, il gruppo HICU 2020 includeva più uomini rispetto agli altri due gruppi (69% vs 56% e 48%; P = 0,03).

Da notare, solo il 9% dei pazienti nel gruppo HICU 2020 aveva disturbi tiroidei preesistenti, rispetto al 21% nel gruppo LICU e al 23% nel gruppo HICU 2019 (P = .017).

Questi risultati suggeriscono che “tali condizioni non sono un fattore di rischio per l’infezione da SARS-CoV-2 o la gravità del COVID-19”, scrivono gli autori.

I pazienti con condizioni tiroidee preesistenti sono stati esclusi dall’analisi della funzionalità tiroidea.

Una percentuale significativamente più alta di pazienti nel gruppo HICU 2020 (13; 15%) era tireotossica al momento del ricovero, rispetto a solo uno (1%) dei 78 pazienti nel gruppo HICU 2019 (P = 0,002) e uno (2%) di 41 pazienti nel gruppo LICU (P = .025).

Tra i 14 pazienti nei due gruppi COVID-19 che avevano tireotossicosi, la maggioranza era di sesso maschile (9; 64%)

Tra quelli del gruppo HICU 2020, le concentrazioni sieriche dell’ormone stimolante la tiroide (TSH) erano inferiori rispetto a uno degli altri due gruppi (P = .018) e le concentrazioni sieriche di tiroxina libera (T4 libera) erano più alte rispetto al gruppo LICU ( P = .016) ma non il gruppo HICU 2019.

Differenze rispetto ad altre tiroiditi correlate a infezioni virali

Sebbene la tireotossicosi relativa alla tiroidite virale subacuta possa derivare da un’ampia varietà di infezioni virali, ci sono alcune differenze chiave con COVID-19, ha detto Muller.

“La disfunzione tiroidea correlata alla SARS-CoV-2 sembra essere più lieve di quella della classica tiroidite subacuta a causa di altri virus”, ha spiegato.

Inoltre, la disfunzione tiroidea associata ad altre infezioni virali è più comune nelle donne, mentre c’erano più pazienti maschi con tiroidite atipica correlata a COVID-19.

Inoltre, gli effetti sulla tiroide si sono sviluppati precocemente con COVID-19, mentre di solito emergono dopo le infezioni da altri virus.

I pazienti non hanno mostrato il dolore al collo che è comune con la classica tiroidite virale e le anomalie della tiroide sembrano essere correlate alla gravità del COVID-19, mentre si osservano anche in pazienti con sintomi lievi quando altre infezioni virali sono la causa.

Oltre al rischio di tiroidite virale subacuta, i pazienti critici in generale sono a rischio di sviluppare una Euthyroid Sick Syndrome, con alterazioni della funzione tiroidea. Tuttavia, i valori degli ormoni tiroidei nei pazienti gravemente malati di COVID-19 non deponevano per  quella sindrome.

Una sottoanalisi di otto pazienti HICU 2020 con disfunzione tiroidea che sono stati seguiti per 55 giorni dopo la dimissione ha mostrato che due hanno manifestato ipertiroidismo ma probabilmente non da COVID-19; nei restanti sei la funzione tiroidea si è normalizzata.

Effetti a Lungo Termine

“È importante sottolineare che non è noto se il nuovo coronavirus abbia effetti a lungo termine sulla tiroide”, ha detto Muller.

“Non possiamo prevedere quali saranno gli effetti di lunga durata sulla tiroide dopo COVID-19”, ha aggiunto.

Con la classica tiroidite virale subacuta, “Dopo alcuni anni … dal 5% al 20% dei pazienti sviluppa ipotiroidismo permanente e lo stesso potrebbe accadere nei pazienti COVID-19”.
“Seguiremo i nostri pazienti a lungo termine per rispondere a questa domanda – questo studio è già in corso”.

Nel frattempo, la diagnosi di disfunzione tiroidea nei pazienti con COVID-19 è importante, in quanto potrebbe peggiorare le già critiche condizioni dei pazienti, ha sottolineato Muller.

Il trattamento gold standard per la tiroidite sono gli steroidi, quindi la presenza di disfunzione tiroidea potrebbe rappresentare un’indicazione aggiuntiva a tale trattamento nei pazienti COVID-19, da verificare in studi clinici adeguatamente progettati”.

I recettori cellulari ACE2 sono altamente espressi nella tiroide

Muller e colleghi hanno sottolineato anche recenti ricerche che dimostrano come l’enzima di conversione dell’angiotensina 2 (ACE2) – dimostrato essere un recettore chiave per l’ingresso della cellula ospite sia per SARS-CoV che per SARS-CoV-2 – è espresso in livelli ancora più elevati nella tiroide rispetto a i polmoni, dove provoca i famigerati effetti polmonari del COVID-19.

Muller afferma che le implicazioni dell’espressione di ACE2 nella tiroide devono ancora essere chiarite.
“Se si conferma che l’ACE2 è espresso a livelli più alti rispetto ai polmoni nella ghiandola tiroidea e in altri tessuti, ad esempio, intestino tenue, testicolo, rene, cuore, ecc., saranno necessari studi dedicati per correlare l’espressione di ACE2 con la suscettibilità d’organo a SARS-CoV-2 e  alla presentazione clinica”.

Leung ha aggiunto, come take home message da questi e da altri studi su tiroide / COVID-19, che “i dati stanno iniziando a mostrarci che l’infezione da COVID-19 può causare tireotossicosi, che è probabilmente correlata alla tiroide e all’infiammazione sistemica”.

“Tuttavia, le anomalie dei test di funzionalità tiroidea sierica osservate nei pazienti COVID-19 con tiroidite subacuta sono anche probabilmente esacerbate in misura sostanziale dalla fisiologia della euthyroid sick syndrome”.

Il Test del DNA per la Tiroide, una novità assoluta

Test genetico per la Tiroide

Tranquilli non è una bufala o una fake news. Il test genetico per la tiroide è già disponibile ed è una novità assoluta nell’ambito dello studio della tiroide in quanto è in grado di fornire informazioni molto preziose.

Sappiamo come per l’endocrinologia tradizionale l’esame gold standard per lo studio della Tiroide è il TSH. Di fatto è “come se” fosse l’unico esame tenuto realmente in considerazione.

Nel blog Tiroide360 abbiamo più volte spiegato perché questo approccio è estremamente riduttivo per la diagnosi e la cura della tiroide.

Oggi è stato messo appunto lo studio di una serie di varianti genetiche che rappresentano uno strumento prezioso per la diagnosi precoce delle patologie tiroidee e per comprendere la funzionalità tiroidea in casi complessi.

In altri termini, si riesce a rispondere a diversi “perché” sul quadro clinico della tiroide, che altrimenti rimarrebbero insoluti o solo al livello di ipotesi.

Le varianti genetiche legate alla funzionalità tiroidea sono addirittura 19 e studiano a livello del DNA:

  • Il trasporto degli ormoni tiroidei
  • Le disfunzioni recettoriali
  • L’attività degli enzimi Deiodinasi 1 (D1) e Deiodinasi 2 (D2)
  • Il rischio di sviluppare la Tiroidite di Hashimoto
  • L’alterazione del recettore della vitamina D
  • L’assorbimento della vitamina D
  • L’incremento o il decremento del TSH
  • Le tireoglobulina
  • La funzionalità tiroidea

Finalmente si riuscirà a sapere in modo oggettivo una delle cause della inefficiente conversione del T4 in T3, e quindi del perché la Levotiroxina (es. Eutirox, Tirosint, etc.) non funziona per tutti.

Finalmente si riuscirà a conoscere il “rischio” di sviluppare Tiroidite di Hashimoto, in persone con familiarità, ma con assenza di autoanticorpi.

Finalmente si riuscirà a sapere se ci sono disfunzioni recettoriali, alterazioni nel trasporto degli ormoni tiroidei e della funzionalità tiroidea, su base genetica.

Finalmente avremo dei dati per cui conoscere in anticipo se la Tireoglobulina dovrà essere il nostro “sorvegliato speciale”, per il rischio di tumore alla tiroide.

Finalmente potremo sapere se il nostro genoma condiziona l’assorbimento della vitamina D e i suoi livelli finali.

Sono tutte informazioni preziosissime perché consentono di fare delle mosse preventive, in termini di integrazione e nutrizione, e possono indicare la strada in molti casi complessi di malattie tiroidee, che con le solite cure rimangono irrisolti.

E non dimentichiamo che il Test genetico per la Tiroide si fa una volta nella vita, e se si vuole, può essere associato allo studio di altre aree della Nutrizione di Precisione (es Metabolismo, Micronutrienti, Allergie) e della Medicina di Precisione (es. Infiammazione, Neurogenomica, Cardiogenomica, Detox, Pelle, Farmacogenomica, Estrogeni, Sport, etc.), per poter eseguire una cura veramente personalizzata.

Attenzione alla Biotina per i test della tiroide, ma niente panico

La biotina è una vitamina essenziale per il funzionamento del nostro organismo: quindi è una vitamina “buona”.

Numerosi studi scientifici hanno evidenziato come un’eccessiva supplementazione di biotina possa provocare interferenze con numerosi esami di laboratorio tra cui ormoni, vitamine, marcatori tumorali, esami di infettivologia e molti altri.

Per quanto riguarda la tiroide un’eccesso di biotina (che si può verificare solo con l’introduzione con integratori) può alterare i valori di TSH, FT3, FT4, falsando l’esito degli esami.

Ma attenzione, nessun allarmismo: la biotina è una vitamina “buona” e serve al nostro organismo.

In questo articolo cerchiamo di capire:

Che cos’è la biotina

La biotina (nota anche come vitamina B7 o vitamina H o vitamina I o Vitamina B8) è una vitamina idrosolubile, appartenente al complesso B, e come tale non si accumula nell’organismo.

È coinvolta in azioni di tipo coenzimatico, attraverso il meccanismo della carbossilazione ATP dipendente, che coinvolgono il metabolismo dei grassi (Acetil CoA carbossilasi), dei carboidrati e della gluconeogenesi (Piruvato carbossilasi) e degli  aminoacidi ramificati (Metilcrotonil CoA).

In altri termini, la biotina trasforma grassi, proteine o carboidrati, fornendo energia all’organismo.

Per questo motivo la biotina è indispensabile per il mantenimento di una glicemia bilanciata in casi particolari come l’esercizio fisico particolarmente prolungato, come avviene negli sport di endurance.

Da momento che la biotina non può essere immagazzinata nell’organismo, è necessario assumerla quotidianamente con l’alimentazione.

La biotina è presente sia negli alimenti di origine animale che vegetale. Tuttavia la biotina presente nei vegetali ha un biodisponibilità ridotta dal 20 al 40% perché è legata con un forte legame alle proteine.

In ogni caso per un assorbimento ottimale necessita dell’intervento degli enzimi pancreatici, in quanto è vincolata a residui di lisina che devono prima essere idrolizzati dalle peptidasi pancreatiche.

La biotina è ubiquitaria e si può trovare in molti cibi come nel latte, nei formaggi, nel tuorlo dell’uovo, nella carne, nel pesce, nei frutti di mare, nelle sardine, nei legumi, nel lievito di birra, nel riso non brillato e in vegetali come carote,  lattuga, spinaci, cavolfiori, pomodori, frutta secca, pappa reale e funghi.

Inoltre è prodotta anche dai batteri intestinali.

Per quanto riguarda l’uovo è opportuno sottolineare come la biotina si lega ad una proteina chiamata avidina, presente nell’albume dell’uovo: per questo motivo un consumo eccessivo di uova crude o alla coque nella dieta quotidiana in particolare come albume crudo, potrebbe rendere indisponibile la biotina assunta con l’alimentazione.

Questa è una condizione che potrebbe verificarsi in particolare in persone che sono solite mangiare 3 o più albumi tutti i giorni per lunghi periodi, come avviene in chi pratica body building o vuole aumentare la massa muscolare, ma sono condizioni estreme che comunemente non si verificano.

La cottura dell’uovo, invece, denatura l’avidina, e ciò elimina il suo effetto negativo sull’assorbimento della biotina.

La biotina è immagazzinata principalmente nel fegato, nei reni, nel cervello e nelle ghiandole surrenali.

Fabbisogno di biotina

Per la biotina non sono classificate in modo unanime il Fabbisogno Medio Stimato (Estimated Average Requirements) e la Quantità Giornaliera Quotidiana (Recommended Dietary Allowances) anche se fonti diverse collocano il Fabbisogno Medio Stimato intorno a 15–100 μg/die.

Nell’adulto il dosaggio raccomandato di biotina sia di 0.03 mg (30 µg) e sale a 0.035 mg (35 µg)  nelle donne in gravidanza o che allattano.

Non si conoscono fenomeni di tossicità da biotina fino a livelli di 10 mg/die.

Molti integratori alimentari presentano dosaggi di biotina molto più elevati, da 20 a 650 volte maggiori.

Carenza di biotina

Le carenze (o un aumentato fabbisogno) di biotina si possono verificare in alcune condizioni o patogie:

  • Ridotto apporto con l’ alimentazione: la carenza primitiva è rara nei Paesi industrializzati; quella secondaria si manifesta per eccessivo e costante utilizzo di albume di uova
  • Malattie ereditarie
  • Morbo di Crohn
  • Celiachia e intolleranza al glutine
  • Antibiotici, che ostacolano la produzione della flora batterica intestinale da cui la biotina è prodotta
  • Farmaci anticonvulsivanti
  • Eccessivo consumo di alcool
  • Fumo di sigaretta
  • Gravidanza o allattamento
  • Infanzia

Sintomi di carenza di biotina

Riguardano principalmente la pelle e i capelli e possono determinare:

  • alopecia (reversibile)
  • pelle secca
  • dermatiti
  • rush cutanei a livello di occhi, naso, bocca, genitali

Una carenza di biotina può causare inoltre:

  • astenia (mancanza di energia)
  • insonnia,ansia, depressione,
  • disturbi al sistema nervoso, inappetenza
  • dolori muscolari
  • aumentata suscettibilità ad infezioni batteriche e fungine
  • Insulino resistenza e diabete

La carenza di biotina può determinare un’alterata utilizzazione del glucosio. Da tempo gli studi scientifici hanno mostrato come pazienti con diabete non insulino-dipendente abbiano bassi livelli di biotina e la somministrazione di biotina sia in grado di migliorare il quadro metabolico.

https://www.jstage.jst.go.jp/article/jcbn1986/14/3/14_3_211/_article/-char/ja/ 

Studi recenti confermano il ruolo potenziale della vitamina B7 nella prevenzione e trattamento del diabete http://189.203.43.34:8180/handle/20.500.12103/2124

Effetti della biotina sull’organismo

Oltre alle azioni citate la biotina:

  • È importante per mantenere una appropriata funzione tiroidea e per la regolazione del sonno
  • Insieme all’acido pantotenico, la biotina contribuisce alla produzione degli ormoni dello stress
  • Può contribuire al controllo dei livelli di Colesterolo LDL
  • È necessaria per la sintesi della vitamina C.
  • Potrebbe modulare la produzione di  Igf1 e quindi la crescita muscolare oltre che la resistenza negli sport di endurance

Biotina e Tiroide: le interferenze con gli esami di laboratorio

Ormai numerosi studi scientifici hanno evidenziato un’interferenza fra la biotina, assunta in alte dosi, e l’esito di alcuni esami di laboratorio, fra cui gli ormoni tiroidei FT3 , FT4, il TSH e la Vitamina D (oltre a molti altri). I primi studi risalgono al 2012, ma ne sono stati pubblicati successivamente veramente tanti.

La biotina può determinare valori falsamente elevati di T3 e T4 e falsamente bassi valori di TSH, che possono determinare una diagnosi sbagliata di ipertiroidismo.

Nel caso in cui il test venga effettuato su un paziente ipotiroideo in terapia sostitutiva (es. Levotiroxina, Tiroide secca, etc.) l’esito dei test potrebbe far pensare che il dosaggio di ormone tiroideo sia falsamente troppo elevato.

Esistono anche la possibilità di sottostima, ma è meno frequente.

Quindi il problema è che si potrebbero formulare diagnosi sbagliate ovvero scelte non appropriate nel dosaggio degli ormoni tiroidei nei pazienti in terapia.

Recenti studi mostrano che elevati dosaggi di biotina possono causare valori erroneamente elevati anche di vitamina D.

www.sciencedirect.com/science/article…

La FDA (Food and Drug Administration) Americana nel 2017 ha lanciato un allarme per il pubblico, gli operatori sanitari ed il personale di laboratorio segnalando che la biotina può interferire in modo significativo con alcuni test di laboratorio.

www.fda.gov/medical-devices/safety-communications/…

Tuttavia questa notizia non è sufficientemente diffusa fra i medici e i pazienti.

È bene sottolineare che l’interferenza si verifica SOLO quando vengono assunti elevati dosaggi di biotina con gli integratori, il che può accadere dal momento che la biotina è presente a dosaggi ben maggiori di quelli fisiologici in molti supplementi per i capelli, le unghie, la pelle, il peso, la stanchezza, etc.

Gli integratori contengono quantità medie nettamente sovrafisiologiche, attorno ai 5000–10.000 µg. Nel caso del trattamento della sclerosi multipla e di altre forme neurodegenerative sono impiegate mega-dosi quotidiane superiori a 100.000 µg.

Meccanismo dell’interferenza

Da molti anni nei laboratori di analisi vengono utilizzati sistemi che sfruttano la capacità della biotina di legarsi con grande affinità alla streptavidina, che si trova nello Streptomyces avidinii, per eseguire numerosi test diagnostici.

La streptavidina ha la capacità di legare l’anticorpo o l’antigene biotinilato (della biotina). Quando la concentrazione di biotina nel siero del paziente è molto aumentata, le molecole di biotina interferiscono con il legame degli anticorpi o degli antigeni biotinilati alla fase solida rivestita di streptavidina.

I risultati di laboratorio sono falsamente diminuiti nel caso di metodiche sandwich o falsamente aumentati nel caso di metodiche competitive.

Cosa fare se si sta assumendo Biotina con un integratore?

  • Se il dosaggio è fisiologico, ovvero inferiore o uguale a 0.03 mg (30 µg), non si deve fare nulla.
  • Se è il dosaggio è superiore è necessario sospenderla almeno 2 giorni prima del prelievo.

Un recente studio pubblicato nel febbraio 2020 è andato oltre nell’analisi delle metodiche di indagine e ha evidenziato come, quando viene utilizzata dal laboratorio la piattaforma Abbott Architect, potrebbe non essere necessaria la sospensione di biotina.

Quando si usa a piattaforma Roche Cobas e602 viene raccomandata la sospensione di biotina per almeno 1 giorno e per la piattaforma Beckman UniCel DxI 800 per almeno 2 giorni.

Conclusioni

Elevati dosaggio di Biotina possono causare interferenze con alcuni esami ematochimici fra cui FT3, FT4, TSH e vitamina D.

È opportuno segnalare al medico che si sta assumendo un integratore che contiene Biotina, e il dosaggio preciso.

Se il medico non è a conoscenza di questa possibile interferenza, si può gli si può suggerire di verificare gli studi che lo hanno evidenziato.

Qualora i dosaggi di Biotina assunti siano superiori a 0.03 mg (30 µg) o 0.035 mg (35 µg)  nelle donne in gravidanza  è opportuno sospendere la supplementazione almeno 2 giorni prima.

Le aziende che producono i reagenti nonché i laboratori di analisi specializzati stanno cercando di correre ai ripari trovando nuove soluzioni.

Qualora sia possibile accertarlo, se il laboratorio utilizza piattaforme Abbot Architet o Roche cobas e602 la sospensione potrebbe non essere fatta nel primo caso e solo di 1 giorno per il secondo caso: questo è quello che ha rivelato uno recente studio preliminare.

Tuttavia nella pratica clinica non è necessario informarsi sulla metodica utilizzata nel laboratorio, per non aggravare il personale di un carico di lavoro superfluo.

Il messaggio è che le aziende stanno lavorando per superare questa interferenza e questo è estremamente positivo ed incoraggiante.

Per il paziente basta sospendere per 2 o 3 giorni l’integratore.

Bibliografia

  • Pathology – Journal of the Royal College of Pathology of Australasia:  April 2012 – Volume 44 – Issue 3 – p 278–280 Kwok, et coll. Biotin interference on TSH and free thyroid hormone measurement
  • Endocr Rev. 2018 Oct 1;39(5):830-850. Favresse J et coll. Interferences With Thyroid Function Immunoassays: Clinical Implications and Detection Algorithm.
  • Thyroid 2016, Vol 26, n°6, Barbesino G. Misdiagnosis of Graves’ disease with apparent severe hyperthyroidism in a patient taking biotin megadoses.
  • Thyroid 2016, 26: 860-3. 2. Trambas CM, Sikaris KA, Lu ZX. More on biotin treatment mimicking Graves’ disease.
  • N Engl J Med 2016, 375: 1698-9. 3. Ross DS, Burch HB, Cooper DS, et al. 2016 American Thyroid Association guidelines for diagnosis and management of hyperthyroidism and other causes of thyrotoxicosis.
  • Thyroid 2016, 10: 1343-421. 4. Kummer S, Hermsen D, Distelmaier F. More on biotin treatment mimicking Graves’ Disease.
  • N Engl J Med 2016, 375: 1699. 5. Elston MS, Sehgal S, Du Toit S, et al. Factitious Graves’ disease due to biotin immunoassay interference. A case and review of the literature.
  • J Clin Endocrinol Metab 2016, 101: 3251-5. 6. Batista MC, Ferreira CE, Faulhaber AC, et al. Biotin interference in immunoassays mimicking subclinical Graves’ disease and hyperestrogenism: a case series.
  • Clin Chem Lab Med 2017, 55: e99-103. 7. Piketty ML, Polak M, Flechtner I, et al. False biochemical diagnosis of hyperthyroidism in streptavidinbiotin-based immunoassays: the problem of biotin intake and related interferences.
  • Clin Chem Lab Med 2017, 55: 780-8. 8. Piketty ML, Prie D, Sedel F, et al. High-dose biotin therapy leading to false biochemical endocrine profiles: validation of a simple method to overcome biotin interference.
  • Clin Chem Lab Med 2017, 55: 817-25. 9. Dorizzi RM. Biotina e interferenze nei metodi immunologici; problemi e opportunità. Rivista Italiana della Medicina di Laboratorio 2017, 13: 1-9.
  • American Thyroid Association (ATA) 2018
  • The Journal of Steroid Biochemistry and Molecular Biology, February 2020, in press. Carter GD et coll. Biotin supplementation causes erroneous elevations of results in some commercial serum 25-hydroxyvitamin d (25ohd) assays
  • Medicine, February2020, Vol 29, n°20, Zhang et coll. Assessment of biotin interference in thyroid function tests

Selenio, Zinco e Piombo nei pazienti tiroidei: cosa li lega?

Alcuni elementi presenti nell’organismo in piccole quantità, tecnicamente definiti elementi in tracciaoligoelementi, svolgono azioni fondamentali per l’attivazione e il funzionamento del complesso tiroideo e della tiroide.

Nell’ambito di una visione della tiroide e della persona a 360 gradi non può mancare una particolare attenzione al significato della loro presenza nell’organismo.

Nel dicembre del 2019 è stata pubblicata una revisione sistematica e una meta-analisi sui i livelli dei principali oligoelementi nell’ipotiroidismo.

Talebi S. et coll
Trace Element Status and Hypothyroidism: A Systematic Review and Meta-analysis. Biol Trace Elem Res. 
2019 Dec 10

Gli studi scientifici su questo argomento hanno evidenziato, talvolta,  risultati contrastanti e per questo motivo gli autori hanno ritenuto opportuno fare chiarezza attingendo e confrontando studi scientifici pubblicati sui database elettronici di PubMed, Scopus, Embase, e Science Direct fino al settembre 2019.

Lo scopo di questa meta-analisi era quello di studiare l’associazione tra i livelli di alcuni elementi in traccia tra cui, Selenio, Zinco, Ferro, Manganese, Rame, Piombo e Magnesio in pazienti ipotiroidei e in pazienti di controllo.

Per fare questo sono stati selezionati e confrontati 32 studi osservazionali.

Nello studio è stato utilizzato il test di Hedges’g, che viene usato per confrontare differenti misure fra gruppi sperimentali e un gruppo di controllo, dal momento che nei vari studi le concentrazioni degli elementi in traccia sono state riportate usando unità di misura diverse.

Lo studio ha evidenziato che nei pazienti ipotiroidei:

  1. La concentrazione di selenio e zinco sono significativamente più basse
  2. La concentrazione di piombo è significativamente più elevata

Non si è evidenziata una differenza statisticamente significativa fra i livelli di ferro, rame, manganese e magnesio fra la popolazione ipotiroidea e quella di controllo.

Quindi, sostanzialmente, lo studio ha evidenziato che nei pazienti ipotiroidei i livelli di selenio e zinco sono bassi e quelli di piombo sono elevati.

Quindi, cosa fare?

Stante il fatto che lo studio necessita di  ulteriori conferme, sembrerebbe intuitivo che bisogna aumentare i livelli di selenio e zinco e diminuire quelli di piombo.
Ma, attenzione! È sempre meglio farlo in modo razionale e non improvvisato. Non basta acquistare un prodotto su Amazon o quello che ha suggerito un amico/paziente per stare bene.

Bisogna capire prima:

  1. se hai bisogno o no di quella integrazione
  2. il dosaggio “giusto” di quella integrazione per te

“Solo” per smontare alcune false credenze o fake news:

  • non è detto che un integratore, solo perché è di origine naturale, non possa fare male
  • non è detto che, per vitamine ed oligoelementi, più alta è la concentrazione dell’integrazione e meglio è
  • non è detto che ciò che ha funzionato in un altro paziente (o in altri gruppi di pazienti) necessariamente funzioni nello stesso modo anche per te

Semplicemente, l’integrazione deve essere su misura e personalizzata.

Oggi si parla di Medicina di Precisione come gold standard terapeutico, NON di “improvvisazione furba” fatta rubando notizie qua e là.

Il punto da cui iniziare è conoscere i livelli di vitamine ed oligoelementi presenti nell’organismo.

Per quanto riguarda quelli evidenziati in questo studio (Selenio, Zinco, Piombo) bisogna:

  • Misurare i valori di selenio e zinco nel sangue
  • Misurare i valori di piombo, nel sangue o nelle urine o nel capello

Sulla base di quanto emerge dagli esami e della storia clinica complessiva del paziente si può intraprendere una integrazione di selenio e zinco mirata e  si può pensare alla rimozione del piombo dall’organismo attraverso una terapia chelante o con l’utilizzo di zeolite.

Quali sono i dosaggi suggeriti?

Per il selenio si va da 50 a 200 mcg, mai oltre i 400 mcg.

Per quanto riguarda lo zinco l’integrazione va generalmente dai 10 ai 30 mg al giorno, mai oltre i 40 mg.

È utile rammentare che:

  • È fondamentale che l’integrazione, quando necessaria, sia effettuata solo con prodotti di ottima qualità e di origine nota. Quindi attenzione quando si acquista sul web o in negozio fidandosi solo del proprio fiuto.
  • Non è sufficiente che una vitamina o un oligoelemento sia presente in un prodotto multivitaminico generico per essere certi che il dosaggio sia sufficiente per raggiungere i valori ottimali di quella sostanza. E’sempre meglio mirare con precisione l’integrazione e valutare i risultati dopo un periodo di tempo.
  • Integrare selenio e zinco non significa necessariamente che sia necessario per tutti integrare anche la melatonina.
    Per la melatonina vale lo stesso discorso generale: vanno valutati i livelli ed integrata quando necessario a seconda delle necessità individuali, anche e soprattutto perché è un ormone e come tale interagisce con gli altri ormoni, in modo sinergico o soppressivo.
  • Il fatto che in questo studio non si sia evidenziata una differenza statisticamente significativa fra i livelli di ferro, rame, manganese e magnesio fra la popolazione ipotiroidea e quella di controllo non significa che questi oligoelementi non abbiano un significato funzionale per la tiroide e il complesso tiroideo. Anzi… La fisiologia è fisiologia ed è opportuno monitorare i livelli anche di questi minerali ed integrarli quando indicato.

Per quanto riguarda il piombo è inutile negare che l’inquinamento ambientale abbia un ruolo nel suo accumulo.

Quello che si può fare è effettuare sotto controllo medico una terapia chelante oppure utilizzare sostanze come la zeolite di ottima qualità che è potenzialmente in grado di sequestrare ed eliminare il piombo.

Levotiroxina e ipotiroidismo: Tiche si o Tiche no?

Scopriamo il razionale delle capsule molli o soft gel di Levotiroxina (es. Tiche) nel trattamento dell’ ipotiroidismo

È un dato di fatto che la terapia con l’ormone tiroideo Levotiroxina (LT4) possa sortire esiti ed effetti collaterali diversi a seconda della formulazione e addirittura dell’azienda e del brand che viene utilizzato.

Non vi è una spiegazione scientifica assoluta, ma molti pazienti hanno sperimentato effetti collaterali, o benefici, diversi a seconda del brand di Levotiroxina utilizzato: es. Eutirox, Tiche, Tirosint, Syntroxine etc.

È noto come la Levotiroxina (LT4) sia il trattamento ritenuto “Gold Standard” (il migliore e il più consigliato) per la terapia dell’ipotiroidismo secondo le Linee Guida Internazionali e Nazionali.

Tiroide 360 va oltre la prescrizione della Levotiroxina a tutti i pazienti ipotiroidei e offre diverse e molteplici soluzioni, nel caso dell’ipotiroidismo, a seconda del quadro individuale del paziente e del funzionamento del suo sistema tiroideo e ormonale.

Tuttavia quella con Levotiroxina rappresenta una possibilità terapeutica, da sola o in combinazione con la Tiroide secca o con la Liotironina (LT3), che non va affatto esclusa.

La maggior parte dei medici si “schiera” a favore o addirittura contro la Levotiroxina, o la Tiroide secca o la (ex) Tiroide IBSA. Nulla di più sbagliato.
Queste, e altre, possono essere tutte scelte terapeutiche efficaci se selezionate per il paziente giusto, al momento giusto, e con il dosaggio giusto, nell’ambito di una cura della tiroide e della persona a 360 gradi.

L’azione della Levotiroxina (T4) può essere utile per la sua nota trasformazione nell’ormone tiroideo attivo T3, ma anche per la sua azione genomica (es. sui capelli, l’apparato riproduttivo e il cervello).
Per questo è opportuno che venga mantenuto un valore ormonale di LT4 nel sangue, anche con l’ausilio della LT4 di sintesi (non esiste una forma naturale).

Come scegliere i diversi tipi di Levotiroxina?

Negli ultimi anni l’industria farmaceutica ha reso disponibili formulazioni di Levotiroxina in capsule softgel  o molli (es. Tiche) o formulazioni liquide (es. Tirosint), che hanno proprietà farmaco-cinetiche diverse rispetto alle formulazioni tradizionali.

I potenziali vantaggi delle formulazioni di LT4  soft gel o liquide sono soprattutto in termini di velocità di assorbimento del farmaco.

Questo è un fattore che può impattare in modo non trascurabile sulla qualità di vita del paziente dal momento che l’assunzione quotidiana della Levotiroxina viene consigliata almeno mezz’ora prima di colazione (preferibilmente un’ora dal caffè).

Svegliarsi almeno mezz’ora prima, tutte le mattine, per assumere una pastiglia può essere un problema e può generare un inutile stress aggiuntivo ad un paziente in cui le prime ore della giornata possono già essere un incubo.
Questo è un aspetto assolutamente comprensibile, visto dalla parte del paziente.

Analizzando invece la situazione dalla parte della medicina o dell’endocrinologia tradizionale, diverso è sostenere che se la Levotiroxina (LT4) non sortisce sul paziente gli effetti auspicati dal punto di vista clinico e degli esami di laboratorio, l’unica spiegazione scientifica sarebbe un non suo efficace assorbimento.

Il motivo per cui in alcuni (secondo noi “molti”) casi, non si verifica un miglioramento clinico del paziente sarebbe “comportamentale”, ossia legato al fatto che questi non avrebbe assunto la terapia prima di colazione come indicato dal medico.

Quindi anche in questo caso la “colpa” sarebbe del paziente, un po’ pressapochista, pigro e superficiale nell’assumere la terapia.
Del resto il caffè o  farmaci che influiscono sul Ph dello stomaco (es. omeprazolo) possono rendere sub-ottimale l’assorbimento della Levotiroxina  ed inefficace la cura che, se fatta correttamente “assicurerebbe” il raggiungimento del TSH in TUTTI (?) i casi.

Pertanto le formulazioni di Levotiroxina a rapido assorbimento sarebbero la più innovativa soluzione ai problemi di quei pazienti che non manifestavano un miglioramento o, meglio, continuavano a stare male, dopo avere assunto l’unica terapia indicata in caso di ipotiroidismo.

Nel blog  Tiroide 360 abbiamo più volte discusso sulla complessità del sistema tiroideo e dell’equilibrio ormonale e nutrizionale globale dell’organismo necessario per la sua azione.
Se è vero che in qualche caso il problema del paziente, con le compresse tradizionali, può essere legato all’assorbimento del farmaco, questo non significa che questa possa essere l’unica spiegazione dei numerosi casi di insuccesso terapeutico della terapia con solo T4 e dell’insoddisfazione dei pazienti.
La visione della medicina tradizionale pare riduttiva e parziale.

Per quanto riguarda le formulazioni di Levotiroxina soft gel o in capsule molli (Tiche) in questi ultimi anni sono state numerose le esperienze positive dei pazienti che hanno mostrato nella pratica clinica un’ottima tollerabilità ed efficacia terapeutica del farmaco.

Soddisfacente è risultata l’azione del farmaco dal punto di vista clinico e non si sono osservati, nella maggior parte dei casi, effetti avversi del farmaco che hanno determinato la sua sospensione.

Il rapido assorbimento del Tiche, l’ampia scelta di dosaggi disponibili, l’assenza di lattosio fra gli eccipienti, rappresentano valori aggiunti a questa formulazione.

Su Endocrine 2017* è stato pubblicato uno studio clinico longitudinale in cui sono stati comparati gli effetti  di LT4 in compresse e in capsule soft gel (Tiche) su 103 pazienti tiroidectomizzati, studiati per 3 mesi.

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/28466401

Tutti i pazienti hanno mantenuto lo stesso dosaggio di LT4 passando dalle compresse alle capsule soft gel.

I test di funzionalità tiroidea hanno evidenziato valori analoghi, non differenti in modo statisticamente significativo, per quanto riguarda la conversione in FT4 ed FT3.

Con la formulazione in capsule soft gel si sono evidenziati valori di TSH più bassi, statisticamente significativi (circa il 28%).

Quindi il fabbisogno di LT4 è il medesimo con le compresse e le capsule soft gel, ma i valori di TSH sono statisticamente più bassi con la capsule soft gel (-28%) rispetto alle compresse.

Questa condizione (valori di FT3 ed FT4 nella norma e TSH elevato e che non risponde bene alla terapia con LT4) è pertanto un’altra possibile indicazione alle capsule soft gel di LT4 (Tiche).

Vitamina D e Tiroidite di Hashimoto: un legame “forte”

Introduzione al tema Vitamina D nella tiroidite di Hashimoto

Numerosi articoli scientifici hanno evidenziato una possibile correlazione fra bassi livelli di vitamina D e Tiroidite di Hashimoto.

Vitamin D and autoimmune thyroid diseases. Cellular & Molecular Immunology(2011) 8, 243-247. Shaye Kivity et altri

Cerchiamo di capire perché si verifica questo e cosa fare in caso di bassi livelli di vitamina D nella Tiroidite di Hashimoto.

La vitamina D viene attualmente considerata come un vero e proprio “ormone”, viste l’ampio spettro delle sue azioni che vengono mediate da un recettore nucleare (VDR) presente su numerosi tessuti e organi.

La vitamina D non è “solo” un regolatore del metabolismo del calcio. La carenza di vitamina D non riguarda, in altri termini, principalmente le donne in menopausa, come si pensava fino ad un non lontano passato, ma potenzialmente tutta la popolazione.

La vitamina D agisce su numerosi organi e apparati che esprimono questo recettore VDR. Si va dal cuore, al cervello, al tessuto adiposo, alla tiroide, alla pelle, etc.

La vitamina D svolge un ruolo significativo nell’equilibrio del sistema immunitario (che è deficitario in caso di Tiroidite di Hashimoto).

La vitamina D agisce principalmente bilanciando le braccia del sistema immunologico chiamate Th1 e Th2 e influenzando le cellule T-regolatorie (Th3), che governano l’espressione e la differenziazione delle cellule Th1 e Th2.

Nelle malattie autoimmuni, fra cui la Tiroidite di Hashimoto, si verifica proprio uno sbilanciamento di quest’asse TH1-TH2 con coinvolgimento del sistema TH3 e TH17.

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1521661613002593

È un argomento complesso, intrigante, nuovo e ancora in evoluzione ma la “causa” della Tiroidite di Hashimoto passa da qui.

Nelle persone con Tiroidite di Hashimoto si possono verificare diverse condizioni che possono ridurre l’assorbimento, la produzione e l’attività della vitamina D e quindi la sua azione sul sistema immunitario.

Analizziamoli una ad una:

  • La sindrome dell’intestino permeabile o Leaky Gut Syndrome è estremamente comune nei pazienti con ipotiroidismo di origine autoimmune e questa può condizionare negativamente l’assorbimento della vitamina D.
  • Elevati livelli di cortisolo sono associati a bassi livelli di vitamina D.
    È questa una condizione estremamente frequente, anche se sottovalutata e sottostimata, nei pazienti ipotiroidei e in quelli affetti da Tiroidite di Hashimoto. La sintesi della forma attiva di vitamina D dipende dal colesterolo ed è noto come gli ormoni dello stress derivano dal colesterolo. Quando l’organismo di trova in condizioni di stress, la maggior parte del colesterolo viene usato per produrre cortisolo e non è sufficiente per produrre quote sufficienti di vitamina D. È una condizione in qualche modo simile al “furto del pregnenolone”, anche se il substrato e le vie sono ovviamente diverse. Di fatto lo stress per questo motivo favorisce una ridotta produzione di vitamina D attiva.
  • Un polimorfismo sfavorevole per il recettore nucleare della vitamina D (VDR) riduce l’azione di quest’ormone (la vitamina D).

Affinché la vitamina D circolante possa svolgere le sue funzioni, deve prima attivare il recettore della vitamina D (VDR). Il problema è che molte persone con malattia autoimmune hanno un polimorfismo genetico che influenza sfavorevolmente l’espressione e l’attivazione del VDR e quindi riduce l’attività biologica della vitamina D.

Numerosi studi scientifici, infatti, hanno dimostrato che un numero significativo di pazienti con Tiroidite di Hashimoto è portatrice di polimorfismi sfavorevoli per VDR.

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/16721822

Tradotto: queste persone potrebbero avere sintomi da carenza di Vitamina D anche se i valori nel sangue sono normali perché questo polimorfismo genetico, che influenza negativamente l’espressione e l’attivazione del VDR e quindi riduce l’attività biologica della vitamina D.

Per questo motivo queste persone necessitano di mantenere valori più elevati di Vitamina D rispetto a quelli della popolazione generale che non ha questo polimorfismo e questa malattia autoimmune.

Il polimorfismo VDR è un test genetico che ora può essere effettuato in molti laboratori e applicato alla pratica clinica.

  • Le persone che seguono diete a basso contenuto di grassi e i pazienti con condizioni che compromettono l’assorbimento dei grassi (come IBS, IBD, o malattie del fegato e della cistifellea) hanno maggiori probabilità di avere bassi livelli di vitamina D. La vitamina D è una vitamina liposolubile, il che significa che richiede grassi per essere assorbita efficacemente. Per questo motivo non mangiare abbastanza grassi o non digerire grassi correttamente riduce l’assorbimento di vitamina D.
  • L’obesità e il sovrappeso riducono i livelli di vitamina D attiva. Gli obesi hanno livelli nel sangue più bassi di vitamina D perché questa viene catturata dalle cellule adipose. Per questo motivo i pazienti con Tiroidite di Hashimoto, sovrappeso, sindrome metabolica od obesità hanno più difficoltà nel ristabilire valori ottimali con la supplementazione, se il dosaggio e la modalità di somministrazione non sono adeguate.
  • La vitamina D regola anche la secrezione di insulina e l’insulino-sensibilità e la sua carenza è associata ad insulino-resistenza.
    https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4515445/

    L’insulino-resistenza, la disglicemia e la leptino-resistenza influenzano negativamente la fisiologia della tiroide e favoriscono l’aumento di grasso addominale.

  • L’infiammazione riduce l’utilizzo della vitamina D e i pazienti con Tiroidite di Hashimoto sono spesso infiammati.

Valori ottimali di vitamina D nella tiroidite di Hashimoto

Alla luce di questi elementi non sorprende che molte persone affette da Tiroidite di Hashimoto e ipovitaminosi D evidenzino difficoltà nel raggiungere e mantenere livelli di Vitamina D Ottimale.

La comunità scientifica non ha una posizione univoca intorno al valore di vitamina D ottimale, anche se ritenere “sufficiente” una valore di 20ng/dL pare molto riduttivo.

Nell’ambito di una visione che vede la Vitamina D come un Ormone (e non solo come una Vitamina) la cui carenza può favorire malattie legate al metabolismo del calcio (es. rachitismo, osteomalacia o osteoporosi) i valori raccomandati sono fra 60 e 80 ng/dL.
Valori superiori a 100 ng/dL potrebbero apportare più svantaggi clinici che vantaggi o risultare.

Raggiungere e mantenere i valori di Vitamina D ottimali nel caso della Tiroidite di Hashimoto solo con l’alimentazione non è possibile nella maggior parte dei casi, anche qualora ci si esponga alla luce.

Non rimane quindi che un’opportuna supplementazione con integratori di qualità.

Assunzione di Vitamina D nella tiroidite di Hashimoto

Le modalità di assunzione della vitamina D possono essere di 2 tipi:

  1. Prevede la somministrazione di un bolo ad elevato dosaggio (es. 25000/50000/100,000 UI) una volta alla settimana oppure ogni 2/3/4 settimane.
  2. Prevede la somministrazione quotidiana di dosaggi più bassi.

Anche in questo caso non vi è una posizione univoca dal punto di vista medico.

Tuttavia la modalità con somministrazione quotidiana risulta più fisiologica, offre maggiore biodisponibilità di vitamina D e può evitare o contenere fenomeni potenziali di accumulo che in qualche caso possono essere tossici.

A questo punto la domanda diventa…

Quali sono i dosaggi di vitamina D nella tiroidite di Hashimoto?

Anche in questo caso la risposta è: dipende, da caso a caso.

In realtà in questo caso la risposta è ancora più complicata e tutt’altro che definitiva. Perché?

È inutile negare che la Vitamina D sia di “moda” e ci sono, come sempre in questi casi, estremismi e visioni unilaterali che vanno dall’affermare che la vitamina D non serva a nulla (ed è tutto una bufala), a sostenere che la vitamina D sia in grado, da sola, di curare tutte le malattie; e lo stesso vale per i dosaggi (molto bassi o sovrafisiologici).

Quindi: calma…

Certo è che in pazienti con Tiroidite di Hashimoto, magari con sovrappeso od obesità un dosaggio di 1500/2500 UI al giorno è difficile che risulti sufficiente per raggiungere i livelli di vitamina D ottimali.

Sarebbe inutile insistere con questi dosaggi nella “speranza” che la vitamina D salga, magari perché è estate e ci si espone di più al nostro sole italico.

L’unico modo per verificare l’efficacia della terapia è misurare i livelli nel sangue e in questi casi non sarebbe sorprendente verificare l’inefficacia della terapia. Nulla cambia in modo sostanziale.

I dosaggi di vitamina D più efficaci nella pratica clinica in caso di Tiroidite di Hashimoto e ipovitaminosi D vanno dalle 2.000 alle 10.000 UI al giorno, possibilmente con vitamine nutrienti che abbiano una azione sinergica (es. vitamina K2, vitamina A, vitamina E…).

È opportuno un controllo dei livelli di vitamina D sierica dopo 3 mesi di terapia e una terapia di mantenimento una volta raggiunto il dosaggio ottimale.

Non è indicato assumere elevati livelli di vitamina D senza effettuare regolari controlli degli esami perché questo da un lato può determinare tossicità dall’altro essere inutile.

Come spesso accade in nutrizione, e come ci insegna la nutrizione ortomolecolare, nel caso di vitamine, nutrienti ed ormoni non vale la regola per cui più elevato è il dosaggio di un integratore e meglio è.

Ma… è più efficace, funzionale, e sano integrare col dosaggio appropriato (né alto né basso) e mirare ai valori ottimali e a un bilanciamento dei nutrienti che hanno un’azione sinergica e antagonista.

Un valore di TSH “normale” significa che la Tiroide è sana?

I due errori sulla valutazione del valore di TSH

Uno dei più grandi errori della Medicina è quello di considerare il TSH come se fosse l’unico esame indicatore della funzionalità della tiroide.

Negli articoli di questo blog e sull’Ebook di tiroide360 è ben descritto come, per aver chiaro il funzionamento della tiroide e del complesso tiroideo, sia opportuno eseguire anche altri accertamenti diagnostici.

Il secondo errore che viene commesso è quello di considerare “normale” il TSH semplicemente perché è all’interno dei valori di riferimento.

Cerchiamo di capire perché…

L’ampiezza dei valori di riferimento del TSH (Thyroid Stimulating Hormone), un ormone prodotto dall’ipofisi in risposta ai livelli di ormoni Tiroidei nel sangue, è notevole.
Questo intervallo varia a seconda del laboratorio ed è generalmente compreso fra 0.35 mcU/ml e 5 mcU/ml, con una ampiezza di oltre 10 volte fra il valore minimo e quello massimo.

Il punto cruciale è che all’interno dell’intervallo di riferimento il TSH non ha sempre lo stesso significato.

In altri termini: il fatto che il TSH sia 0.36 oppure 4.9 mcU/ml non è irrilevante.

Sembra una considerazione ovvia e di buon senso ma di fatto non è così se la maggior parte dei medici considera ancora “normali” i valori all’interno dei range di riferimento.

Valore Ormonale Ottimale

Per il TSH, come per gli altri ormoni, è fondamentale il concetto di Valore Ormonale Ottimale, ovvero il valore ormonale che si associa ad una tiroide sana e ben funzionante , che consente un buon grado di energia ed equilibrio metabolico, in assenza di segni di ipo oppure iper funzione.

Il valore ormonale ottimale del TSH non è univoco nelle diverse classificazioni internazionali, ma si attesta su valori intorno a 1/1.5 mcU/ml.

Oltre i 2.5/3 mcU/ml si supera il livello di attenzione e diventano opportuni approfondimenti clinici (es. visita medica, studio attento dei segni e dei sintomi  del paziente) e di laboratorio ulteriori.

Secondo alcuni autori americani quando il TSH supera i 2.5/3 mcU/ml sarebbe opportuno ricercare gli auto-anticorpi anti Tireoperossidasi (anti-TPO) e anti Tireoglobulina (anti-TG) per poter individuare precocemente una eventuale Tiroidite di Hashimoto.

Se si interviene precocemente si possono evitare danni maggiori alla tiroide e, almeno in qualche caso, anni di sofferenza o di una vita non soddisfacente al paziente.

In questo modo si potrebbe intraprendere una una terapia appropriata, non necessariamente sostitutiva, per la tiroide prima che il suo tessuto sia irrimediabilmente distrutto.

Troppo spesso gli accertamenti di laboratorio e l’ecografia della tiroide vengono eseguiti solo quando la ghiandola è stata profondamente compromessa nella sua struttura.

Poi è facile:

  • prendere atto della situazione,
  • dire che si tratta di una Tiroidite di Hashimoto,
  • che l’esordio della tiroidite è stato paucisintomatico (con pochi sintomi) o asintomatico e per questo irriconoscibile,
  • che non si sa quando è avvenuto,
  • che non si sarebbe potuto fare altro se non…
    iniziare la terapia sostitutiva con un farmaco tiroideo come la Levotiroxina (es. Eutirox, Tirosint, Tiche, etc.) come da protocollo per alleviare i sintomi e soprattutto per far rientrare nel range il livello di TSH.

Siamo sicuri che davvero prima non si poteva fare nulla prima e che non vi era alcun segnale di questa malattia?

Siamo sicuri che sia irrilevante agire sull’immunità e l’autoimmunità, con gli strumenti che abbiamo a disposizione?

Siamo sicuri che sia inutile agire sullo stile di vita, sulla nutrizione, sul microbiota con approccio a 360 gradi alla tiroide e al malato?

Questo è un approccio profondamente diverso da quello che prevede solo di effettuare il solo TSH Reflex, naturalmente. Anche le linee guida dell’endocrinologia e della medicina tradizionale sono molto diverse.

Si parla di ipotiroidismo subclinico quando il TSH è compreso fra 4.5 e 10 mcU/ml e di ipotiroidismo franco quando è maggiore di 10 mcU/ml.

In questi casi sono indicati altri accertamenti oltre al TSH e una terapia sostitutiva con Levotiroxina (LT4).

La visione è molto diversa: si tratta di prescrivere  un farmaco sostitutivo (LT4) per una malattia conclamata, secondo un protocollo uguale per tutti, con l’intenzione di gestire i sintomi dell’Ipotiroidismo.

Siamo nell’era della medicina di precisione e questo sembra un atteggiamento obsoleto. Fra le motivazioni principali che lo sostengono vi sarebbe quello del risparmio economico.

Se è condivisibile il fatto che bisogna evitare sprechi e prescrivere esami inutili, diverso è non ascoltare il paziente e non tenere conto delle evidenze che ogni medico clinico può osservare sui malati, anche perché ci possono essere soluzioni in grado di migliorare nettamente la prognosi e la qualità di vita del paziente.

 

Il T2: l’ormone tiroideo che stimola il metabolismo

Ebbene sì… oltre al T4, al T3 e al Reverse T3 esiste un ormone tiroideo estremamente intrigante: il T2.

Inutile negare: il T2 è un ormone tiroideo il cui complesso meccanismo di azione non è completamente chiarito.

Tuttavia, in 30 anni di ricerca, si sono evidenziate informazioni convergenti e soprattutto… il T2 può essere usato nella pratica clinica, ovvero come terapia, con effetti sullo stimolo metabolico e, potenzialmente, sulla perdita di peso.

In questo articolo approfondiamo i seguenti punti:

Cos’è il T2
Come funziona il T2
Cosa evidenziano gli studi scientifici
Effetti del T2 sui lipidi (grassi)
Studi sull’uomo
Come utilizzare il T2
I punti di debolezza del T2

Cos’è il T2

Il T2 è un metabolita endogeno degli ormoni tiroidei presente in natura e derivante dalla deiodinazione dell’anello esterno T3.
Il T2 fa parte delle diiodotironine. Fra le diiodotironine solo la 3,5-diiodotironina (o 3,5-T2) è una molecola bioattiva.
Quindi quanto parliamo di T2 ci riferiamo alla 3,5-diiodotironina (o 3,5-T2).

Come funziona il T2

Il T2 agisce per “via genomica” e per “via non genomica”.

  • Attraverso la via genomica il T2 regola nei mammiferi l’espressione dell’mRNA di diversi geni regolati anche da T3, ma gli studi mostrano come per generare effetti comparabili sono state necessarie dosi fino a 100 volte superiori a quelle del T3.
    Inoltre, studi in vivo e in vitro, supportano la nozione secondo cui T2 si lega e attiva una specifica isoforma del TRb1 che contiene un inserto di nove amminoacidi posto all’inizio del sito di legame, mentre il T3 può interagire anche con una diversa isoforma TRb1 che manca di questo inserto.
    Allo stesso modo, il T2 e il T3 regolano in modo differente l’espressione del short-TRb1, suggerendo una diversa pathway per ciascuno ormone, almeno nelle specie animali che esprimono entrambi i recettori.
    Quindi attraverso le via genomica il T2 sarebbe in grado si stimolare alcuni recettori degli ormoni tiroidei. Tuttavia gli studi sull’azione non genomica sono pochi ed estremamente recenti.
    https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24602963
  • La via metabolica più studiata del T2, e la più promettente dal punto di vista clinico, è quella extra-genomica.
    E questa la via associata allo stimolo del metabolismo.
    Sono numerosi gli studi che hanno fornito prove evidenti degli effetti del T2 sul tasso di respirazione mitocondriale e il metabolismo dei lipidi, indipendentemente dalla sintesi proteica e con meccanismi non-recettoriali.

Gli studi mostrano come il T2 sia in grado di stimolare il metabolismo (e favorire indirettamente la perdita di peso) e ridurre i grassi nel sangue.

È noto come nel paziente ipotiroideo il metabolismo sia rallentato e come l’ipercolesterolemia sia uno degli effetti dell’ipotiroidismo, che aumenta in rischio cardiovascolare.

Cosa evidenziano gli studi:

Negli animali il 3,5-T2:

  • Stimola l’attività mitocondriale del muscolo scheletrico.
  • Disaccoppia la catena respiratoria (favorendo il consumo energetico e il dimagramento)
  • Stimola il consumo di ossigeno nel ratto perfuso e migliora l’attività mitocondriale
  • Aumenta l’attività della Citocromo C Ossidasi.
  • Induce la stimolazione significativa della beta ossidazione lipidica e up-regola la funzione mitocondriale.
  • Aumenta il metabolismo lipidico del muscolo scheletrico e attiva la termogenesi;
  • Aumenta l’innervazione del sistema nervoso simpatico e la vascolarizzazione del tessuto adiposo bruno

La somministrazione cronica di T2 in ratti esposti a freddo aumenta la capacità energetica del cuore, del muscolo scheletrico, del fegato e la transdifferenziazione in tessuto adiposo bruno: questi effetti del T2 sono estremamente interessanti e potrebbero aprire nuove suggestioni sugli effetti dell’ormone sulla perdita di peso e la sua azione ormetica.

Effetti del T2 sui Grassi:

Riduce il numero e le dimensioni medie delle goccioline lipidiche, rendendo così più accessibili i trigliceridi immagazzinati agli enzimi che agiscono sul catabolismo / degli acidi grassi liberi e agendo sul reclutamento delle lipasi sulla superficie della goccioline lipidiche.

È stata osservata una riduzione dei livelli di trigliceridi e colesterolo sirici con la somministrazione di 3,5-T2 negli animali e una migliore sensibilità insulinica. Gli effetti ipolipidemici sono stati studiati anche in vivo utilizzando diversi modelli animali.

In particolare uno studio ha evidenziato come la somministrazione simultanea di 3,5-T2 (per 4 settimane in ratti alimentati con dieta obesogena (ricca di grassi) previene la steatosi epatica e l’aumento di peso corporeo grazie ad un aumento del tasso di ossidazione degli acidi grassi e al disaccoppiamento della fosforilazione ossidativa.

Un altro studio effettuato su sottoposti a dieta obesogena, la somministrazione giornaliera di 3,5-T2 ha mostrato effetti benefici su adiposità, livelli di leptina sierica e sul dispendio energetico.
Gli studi degli effetti del T2 sull’uomo sono pochi e in quelli effettuati il numero di pazienti arruolati era estremamente basso.

Studi sull’uomo

Uno studio ha rivelato come la somministrazione di 3,5-T2 nell’uomo determini un rapido aumento del metabolismo basale, già dopo 4-6 ore. Nello stesso studio la somministrazione cronica di 3,5-T2 per 28 giorni ha aumentato il Metabolismo Basale di circa il 15% e ha diminuito di circa 4 kg il peso corporeo nei partecipanti, senza effetti collaterali.

Tuttavia gli studi eseguiti sull’uomo mancano di dati di quantificazione affidabili e necessitano analisi di conferma indipendenti.

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/30090086

Come utilizzare il T2

Il T2 può essere utilizzato nella pratica clinica per stimolare il metabolismo  e la sua potenziale azione sulla perdita di peso.

Il T2 può essere utilizzato da solo o anche in associazione agli altri ormoni tiroidei, nei pazienti in terapia con L T4 o Tiroide Secca, per sfruttare le sue azioni extragenomiche.

Non esiste un farmaco 3,5-T2, ma può essere prescritto da un medico come galenico.

Punti di debolezza del T2

  • Sono stati effettuati pochi studi sull’uomo.
  • Allo stadio attuale non è disponibile alcuna tecnica validata per misurare accuratamente i livelli intracellulari di 3,5-T2 né è possibile controllare i livelli di T2 nei pazienti.
  • Non può essere utilizzato come terapia sostitutiva degli ormoni tiroidei per la sua blanda e non completamente conosciuta azione sui recettori.

Quello che il tuo medico non ti ha detto sulla Tiroide

La malattie della tiroide colpiscono circa 6 milioni di italiani, ma il 40% di loro non è soddisfatto della cura (Indagine DOXA 2014 «L’ipotiroidismo nel vissuto del paziente»).

La tiroide è essenziale per apportare energia a tutte le cellule dell’organismo e ai mitocondri.
L’approccio tradizionale all’ipotiroidismo, quello che viene fatto normalmente si traduce in:

  • 1 solo esame diagnostico, il TSH per TUTTI
  • 1 sola terapia farmacologica, quella con Levo Tiroxina, per TUTTI i pazienti

Il problema è che così facendo moltissimi pazienti continuano a soffrire dei sintomi dell’ipotiroidismo…

Ma ci sono almeno 4 cose che il Tuo medico non ti ha detto:

Primo: Cos’è veramente tiroide.

Non è solo la ghiandola localizzata al centro del collo a cui stai pensando… La tiroide serve per produrre gli ormoni tiroidei, ma … affinchè gli ormoni tiroidei riescano a fare il loro lavoro deve funzionare al top un sistema articolato, un vero e proprio Network che io chiamo “complesso tiroideo“.

Il complesso tiroideo è un insieme di organi, ghiandole e nutrienti, essenziali per il funzionamento ottimale degli ormoni tiroidei.

Fanno parte del complesso tiroideo: tiroide, ipotalamo, ipofisi, surrene, stomaco, intestino, pancreas, gonadi, proteine che trasportano gli ormoni tiroidei, ma anche a vitamine e minerali essenziali per l’attivazione degli ormoni tiroidei come la vitamina D, le vitamine idrosolubili e minerali come ferro, iodio, selenio, zinco, etc.

Quindi, non pensare SOLO alla tiroide ma al Complesso tiroideo.

Secondo: esistono esami approfonditi e specifici per studiare il complesso tiroideo

Si deve individuare quale sia la terapia più adatta per ciascun paziente, in quel preciso momento, gli ormoni tiroidei, lo iodio, nelle urine delle 24 ore, e poi le citochine, il T3 reverse, il microbiota intestinale, il ritmo circadiano cortisolo  DHEA salivare, per studiare il surrene insulina, leptina e adiponectina per studiare il pancreas e l’organo adiposo.

Ricorda: la tiroide è fortemente connessa con la funzionalità di surrene, intestino, cervello, sistema immunitario e regolazione glicemica

Terzo: La terapia può e deve essere personalizzata.

Non esiste un’unica terapia, che va bene per tutti!

Quarto: La terapia naturale per la tiroide poggia le basi su uno stile di vita corretto:

nutrizione, attività fisica, controllo dello stress, sonno, equilibrio ormonale generale, tutti fattori in grado di influire profondamente sul complesso tiroideo.

Quindi la cura naturale per la tiroide parte dalla tavola, non dal farmaco, è cruciale detossificare il fegato e salvaguardare l’integrità del microbiota, che è fondamentale per il sistema immunitario.
La medicina naturale è ricca di rimedi da cui attingere per agire sul complesso tiroideo
: dalle piante con documentata azione sulla tiroide e sul fegato e alle piante adattogene che agiscono sulle ghiandole surrenali, senza dimenticare i funghi medicinali, le citochine omeopatizzate, e le opportune integrazioni di qualità di vitamine e oligoelementi che servono per il complesso tiroideo. La tiroide secca rimane una ottima possibilità terapeutica, quando indicata, che continua ad essere utilizzata con successo in tutto il mondo, anche e soprattutto nei casi in cui la terapia tradizionale non ha prodotto risultati soddisfacenti.

Non è affatto obsoleta.

Oltre alla tiroide secca, esistono comunque altre possibilità oltre alla Levotiroxina (LT4), indicata come la terapia di prima scelta per l’ipotiroidismo, come la Liotironina (T3), oppure associazioni di T3 e T4.

Una visione e una cura della persona a 360 gradi è l’unico modo per ottenere benefici sensibili e duraturi nel caso di malattie tiroidee, ma non solo; Olosmedica, di cui sono Presidente da anni, si occupa di divulgare questo messaggio, non in contrapposizione alla medicina tradizionale ma in modo integrato, per sfruttare i punti di forza di entrambe, nell’interesse del paziente.

Dott. Claudio Tomella

Il Fenomeno Nascosto dello Stress Ossidativo nell’Ipotiroidismo Subclinico e nell’Ipotiroidismo Lieve

Un argomento di cui si parla poco è la relazione fra tiroide (e terapia farmacologica con ormoni tiroidei) e l’aumento dello stress ossidativo e dello squilibrio redox tiroideo. Non se ne parla, ma c’è.

In questo studio scientifico di buon impatto, che ho pubblicato io insieme al Prof. Francesco Marotta e ad altri colleghi di Università italiane e straniere nel 2014, si sviluppa proprio questo tema.

Il linguaggio dell’articolo è scientifico e riflette la traduzione dell’articolo originale presente su pubmed. Può sembrare complesso o tecnico, ma il messaggio è chiaro.

“La terapia sostitutiva con ormoni tiroidei può determinare un aumento dello stress ossidativo”.

Un aumento della terapia antiossidante con un nutraceutico di qualità è una possibile soluzione per mantenere in equilibrio lo stress ossidativo tiroideo e quello generale.

Allo stesso tempo questo può spiegare perché, almeno in alcuni casi, i pazienti possono presentare un peggioramento della sintomatologia clinica dopo l’inizio della terapia con Levotiroxina.

Buona lettura!

REJUVENATION RESEARCH

Volume 17, Number 2, 2014

The Hidden Phenomenon of Oxidative Stress During Treatment of Subclinical-Mild Hypothyroidism: A Protective Nutraceutical Intervention

(Il Fenomeno Nascosto dello Stress Ossidativo Durante Il Trattamento Dell’Ipotiroidismo Subclinico e di quello Lieve: Un Intervento Nutraceutico Protettivo)

Claudio Tomella, 1 – Roberto Catanzaro, 2 – Nicola Illuzzi, 1 – Anna Cabeca, 3 – Nicola Zerbinati, 4 – Gulcin Celep, 5 – Michele Milazzo, 2 – Chiara Sapienza, 2 – Angelo Italia, 2 – Aldo Lorenzetti, 1 – Francesco Marotta, 1

  1. ReGenera Research Group for Aging Intervention, Milan, Italy.
  2. Department of Internal Medicine, University of Catania, Catania, Italy.
  3. Preventive and Functional Medicine Center, Brunswick, Georgia.
  4. CMP Medical Center, Pavia, Italy.
  5. Family and Consumer Sciences Department, Nutrition and Food Technology Division, Gazi University, Ankara, Turkey.

Scarica il documento in versione originale

ABSTRACT

Studi recenti suggeriscono che i soggetti con ipotiroidismo in terapia con Levotiroxina (L-T4) potrebbero sviluppare stress ossidativo.

Lo scopo di questo studio era quello di testare un modulatore dell’equilibrio redox,  un nutraceutico a base di papaia fermentata (FPP), associato al trattamento farmacologico con levotiroxina (L-T4) nell’ipotiroidismo subclinico o subliclinical hypotiroidism (SH) e nel lieve ipotiroidismo o mild hypotiroidism (MH) per valutare i cambiamenti biochimici che si sarebbero verificati, in particolare sull’equilibrio redox.

Sono state reclutate nello studio un totale di 60 femmine, trattate per SH-MH e sono state divise in due gruppi:

  1. il primo ha assunto 3 grammi di papaya fermentata FPP (1 bustina) tre volte al giorno, per 3 mesi
  2. il secondo placebo, tre volte al giorno, per 3 mesi.

Si è osservato un aumento significativo di tutti i marcatori di stress ossidativo nei pazienti con ipotiroidismo sublicinico o ipotiroidismo lieve SH-MH (p <0.05 vs. al controllo) e ancor più se in trattamento con Levotiroxina L T4 (p <0,05). La papaya fermentata utilizzata (FPP) ha determinato una normalizzazione dei marcatori redox (p <0,01 vs placebo).

La terapia sostitutiva con l’ormone tiroideo accelera il consumo di ossigeno da parte dei mitocondri e aumenta lo stress ossidativo, e per questo è consigliabile una terapia anti-ossidante, anche perché il trattamento è di lunga durata.

Introduzione

È noto che gli ormoni tiroidei sono associati alla regolazione del bilancio redox.

Infatti, le disfunzioni tiroidee aumentano la produzione di lipo-perossidi, che costituiscono un meccanismo auto-catalitico che porta al danno ossidativo delle membrane cellulari.

Tale danno può causare la morte cellulare e la produzione di aldeidi tossiche e reattive, come la malondialdeide (MDA) .

L’ipotiroidismo subclinico (SH), caratterizzato dalla presenza di elevati livelli di (TSH) in presenza di concentrazioni sieriche di ormone tiroidei (FT3 ed FT4) all’interno dell’intervallo di riferimento, colpisce circa il 4-10% della popolazione occidentale.

Inoltre, anche se la diminuzione del metabolismo dovuto all’ipotiroidismo è stato supposto poter ridurre la produzione di sostanze ossidanti e quindi, in teoria, proteggere i tessuti dal danno ossidativo, prove cliniche sottolineano che, al contrario, i pazienti con ipotiroidismo presentano un aumentato rischio di sviluppare l’aterosclerosi.

Inoltre, l’ipotiroidismo subclinico è considerato, sia sperimentalmente che clinicamente,  un preciso fattore di rischio per le malattie cardiovascolari e l’invecchiamento. Di conseguenza, ci sono dati che associano lo stato ipotiroideo all’aumento dello stress ossidativo.

Tuttavia, questo problema è lungi dall’essere completamente risolto dal momento che, ad esempio, quando sperimentalmente ratti ipotiroidei venivano trattati con 3,3 , 5-triiodotironina (T3), è stato registrato nel cervello di ratto adulto un aumento significativo nel livello dei parametri di stress ossidativo nella frazione mitocondriale.
Tuttavia, il contenuto di perossido di idrogeno (H2O2) delle frazioni mitocondriali e post-mitocondriali della corteccia cerebrale si mostrarono elevate nell’ipotiroidismo indotto e ritornarono al livello normale col trattamento.

Quando si applica la supplementazione  con ormoni tiroidei, dovrebbe essere considerato il fatto che il T3 esercita un’azione calorigena accelerando consumo di ossigeno del mitocondrio attraverso l’attivazione della trascrizione di geni respiratori, il che aumenta la produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS).

I dati esistenti suggeriscono che la calorigenesi indotta dalla terapia con ormoni tiroidei si verifica grazie ad un meccanismo di segnalazione non genomico a breve termine mediato da 3,5-diiodotironina e T3, che porta alla stimolazione allosterica della citocromo c ossidasi e anche attraverso una up regolation a lungo termine del gene nucleare e mitocondriale di trascrizione tramite il segnale del T3.

Questo fattori respiratori determinano un aumento fino al 25 % del consumo totale di O2 e, in effetti, l’aumento di ROS è anche una caratteristica dell’ipertiroidismo.

Quindi, non sorprende che un recente studio suggerisce che lo stress ossidativo in soggetti con ipotiroidismo primario in terapia con levotiroxina (L-T4) può essere la causa degli effetti collaterali della Levotiroxina legati allo stress ossidativo.

Questo potrebbe essere una delle ragioni dietro il disagio e la perdita di energia spesso sperimentata in questi pazienti, non considerando inoltre ulteriori potenziali fenomeni subclinici mediati da ROS  che possono manifestarsi nel lungo periodo.

Nel  considerare un possibile intervento antiossidante, abbiamo utilizzato un nutraceutico certificato a base di papaya fermentata (FPP, Immun-Age, ORI, Gifu, Giappone, realizzato con controllo di qualità ISO 9001 e ISO 14001 e ottenuto da un processo di bio-fermentazione brevettato da Carica papaya non-OGM), che è stato dimostrato possedere efficaci proprietà redox-modulanti in vitro e nei modelli sperimentali e clinici.

Quindi, lo scopo del presente studio è stato quello di testare il modulatore redox, la papaya fermentata FPP in associazione al trattamento con Levotiroxina nell’ipotiroidismo subclinico o nel lieve ipotiroidismo in termini di punteggio clinico dei sintomi, dello stress ossidativo, del profilo lipidico e dell’espressione genica coinvolta nella regolazione della funzionalità tiroidea.

Materiali e metodi

Lo studio ha incluso 60 donne, fra i 18 e i 55 anni, che non assumeva alcun tipo di supplemento a base di soia o la pillola anti-concezionale.

Criteri di esclusione sono stati: malattie croniche importanti, assunzione di farmaci, dislipidemia, attività fisica intensa e disordini psichiatrici.

Tutti i soggetti presentavano un ipotiroidismo subclinico o un lieve ipotiroidismo.

Prima dell’inizio dello studio presentavano valori normali di zinco, selenio e rame.

I pazienti hanno effettuato preventivamente un periodo di washout di 2 settimane e sono stati divisi in 2 gruppi che hanno ricevuto lo stesso trattamento per l’ipotiroidismo.

Ad un gruppo è stato somministrata una bustina di 3 grammi di Papaya Fermentata (FPP)  2 volte al giorno per 3 mesi, nell’altro gruppo è stato dato placebo con la stessa modalità.

È stato usato come controllo un gruppo di soggetti con funzionalità tiroidea normale.

È stato utilizzato il National Institutes of Health Diet History Questionnaire per valutare la storia dietetica del mese precedente e quella durante lo studio.

Ai soggetti sono state fornite istruzioni verbali e scritte da una dietista.

Test biochimici

Dopo 2 settimane di washout, sono stati effettuati gli esami ematochimici di routine ed FT3, FT4, TSH nel siero usando il Microparticle Enzyme Immuno-Assay (Abbott Laboratories, Abbott Park, IL).

Il range di riferimento per l’FT3 era 2.05–3.65 pg/mL, per l’FT4 0.71–1.85 ng/day, e per il TSH 0.47–5.01 mIU/L for TSH.

Sono inoltre state valutate con spettrofotometria il glutatione ossidato plasmatico, la superossido dismutasi, la glutathione perossidasi, l’idrossi-perossidasi e la malondialdeide (MDA).

Analisi statistica

  • Tutte le misurazioni sono state eseguite in doppio e sono state ripetute almeno 3 volte.
  • Per l’analisi dei dati è stato utilizzato il software SPSS 15.0.
  • La comparazione fra i dati dei gruppi è stato eseguito con il Kruskal–Wallis test.
  • Ulteriori comparazioni fra i 2 gruppi sono state effettuate utilizzando il Nemenyi test.
  • I valori sono stati considerati di significatività statistica quando p < 0.05.
  • La valutazione quantitativa dei recettori per gli ormoni tiroidei (TRa-1, TRb-1) è stata effettuata usando  RT-PCR (qRT-PCR) con ABI PRISM 7000 (applicando Biosystems, Foster City, CA).

Risultati

Con la supplementazione del nutraceutico a base di Papaya Fermentata (FPP) non si è osservata una riduzione degli oligoelementi in traccia e delle vitamine introdotte con la dieta e il profilo lipidico e di funzionalità tiroidea sono rimasti invariati.

I pazienti con un lieve ipotiroidismo (MH) hanno mostrato, comparati con i soggetti di controllo (HC), un aumento significativo di tutti i markers di stress ossidativo (p<0.05).

Questo non si è verificato nei pazienti con ipotiroidismo subclinico (SH).

Il trattamento con Levotiroxina ha determinato un ulteriore incremento dei markers di stress ossidativo (p<0.05) nei soggetti con ipotiroidismo lieve (MH) e un aumento significativo anche nei soggetti con ipotiroidismo subclinico (SH).

I pazienti supplementati con papaya fermentata (FPP) hanno mostrato una normalizzazione dei markers di ossidazione (p<0.01), mentre questo non è avvenuto nel gruppo supplementato con placebo.

La somministrazione di papaya fermentata  (FPP) non ha determinato un miglioramento significativo dei sintomi che avevano un impatto significativo sulla qualità della vita, anche se all’inizio dello studio solo  6 soggetti (20%) nel gruppo di controllo e 8 (27%) dei pazienti con FPP avevano riportato sintomi impattanti sulla qualità di vita. Tuttavia il numero esiguo di pazienti non ha consentito una analisi più approfondita di questo aspetto.

La supplementazione con un ormone tiroideo sostitutivo come la levotiroxina (T4) ha determinato una down regulation dei geni TRa-1 mRNA ( p < 0.01) ma non TRb-1 e questo non è stato influenzato dalla papaya fermentata (FPP).

Discussione

È noto che la funzionalità tiroidea sia influenzata da meccanismi genomici e non genomici.

I meccanismi genomici agiscono principalmente nella interazione fra il T3 e il recettore proteico nucleare degli ormoni tiroidei TRb1 così come nello sviluppo di complessi intranucleari di co-attivatori e co-repressori.

Questo modula la trascrizione legandosi alle regioni promoter dei geni degli ormoni tiroidei.

È stato dimostrato sperimentalmente che, a seguito dell’aumento dei radicali liberi nel fegato determinato dagli ormoni tiroidei, si verifica un danno agli acidi grassi poliinsaturi, alle proteine e al DNA. Vi è anche un aumento del danno epatico per la generazione di ROS e per l’attività dei macrofagi e delle cellule di Kuppfer indotta dalla ipertrofia ed iperplasia epatica.

Infatti, negli esseri umani, l’ipertiroidismo è caratterizzato da cambiamenti significativi nel bilancio redox, compreso un aumento livelli di dieni coniugati, di perossido di idrogeno (H2O2) e di idroperossidi lipidici, con livelli ridotti di tioli.

Tuttavia, i dati della letteratura e il nostro lo studio confermano che, quando si è in terapia con Levotiroxina,  sia nei soggetti con ipotiroidismo subclinico che in quelli con lieve ipotiroidismo,  questo stato pro-ossidante aumenta lo stress ossidativo, quando la riduzione del potenziale antiossidante non è adeguatamente compensata. Questo si verifica anche in relazione alla resistenza recettoriale agli ormoni tiroidei con una up-regulation dei geni redox.

Sembra che,  non solo la papaya fermentata (FPP) possa contrastare lo stress ossidativo indotto dagli ormoni tiroidei, ma addirittura non danneggerebbe i recettori tiroidei coinvolti nella regolazione fisiologica  degli ormoni.

Questo può essere ipoteticamente dovuto ad un possibile potenziamento dell’efficienza mitocondriale dovuta a migliori meccanismi antiossidanti e dal mancato indebolimento della difesa antiossidante.

È necessario aumentare il dosaggio della Levotiroxina e degli ormoni tiroidei in modo ponderato e personalizzato, dal momento che anche aumenti limitati del dosaggio di ormoni tiroidei possono determinare considerevoli benefici sulla salute.

Tuttavia, in considerazione del fallimento della terapia con sola vitamina C nel neutralizzare lo squilibrio redox associato alla terapia con ormoni tiroidei, questi risultati dimostrano come l’intervento con papaya fermentata (FPP) potrebbe essere consigliabile come trattamento integrativo da associare alla terapia sostitutiva con ormoni tiroidei a lungo termine.

Studi sulla regolazione genica dei meccanismi redox e di altri fattori di trascrizione sono ancora in corso, data la crescente complessità di questa via metabolica ma sono una possibile chiave per la comprensione dei meccanismi di azione della del complesso tiroideo e della terapia con ormoni tiroidei sostitutivi.

Terapia con T3: la grande incompresa

La terapia con T3 ( Liotironina o L-triiodothyronine o L T3) è una terapia disponibile da molti anni, ma che è sempre stata relegata al ruolo di “cenerentola” nella terapia dell’ipotiroidismo.

Ora se ne sente parlare un po’ di più per il fatto che, con l’uscita dal commercio della Tiroide IBSA, può essere utilizzata insieme alla Levotiroxina (L T4) per riprodurre effetti simili.

Ma i suoi benefici non si fermano qui.

Scopriamo cos’è…

La liotironina è una formulazione sintetica dell’ormone naturale T3. Non esiste una formulazione “naturale” di T3, che non si trova come tale in natura. Tuttavia la terapia con T3 ha una grossa potenzialità, quando prescritta e gestita in modo appropriato.

Scopriamone pro e contro:

PRO

  1. Il T3 è l’ormone tiroideo attivo, ed è quindi energia pronta all’ uso per i mitocondri.
  2. Il T3 è rapido nell’azione.
  3. Non necessita della conversione da T4 in T3, che in alcuni pazienti può essere deficitaria per numerose ragioni.
  4. La terapia con SOLO T3 è il gold standard in caso di un aumento del Reverse T3.

CONTRO

  1. Presenta una emivita breve. Per questo possono essere necessarie 2 o 3 somministrazioni al giorno.
  2. La sua azione può essere troppo intensa in persone che di recente hanno avuto eventi cardiovascolari o ipertensione. In questi casi è necessaria una attenta supervisione medica.
  3. Assumendo per lunghi periodi SOLO T3, non vengono sfruttate le azioni non genomiche del T4.

In realtà benefici di questa terapia sono di gran lunga superiori alle difficoltà.

L’ unica cosa da chiarire è che con una terapia di questo genere è necessario essere controllati, con esami del sangue (naturalmente anche FT3, FT4 oltre a TSH oltre ad altri eventuali esami specifici del caso) e visite mediche periodiche.

Il rovescio della medaglia è che si riescono a risolvere condizioni cliniche “stagnanti” per la mancata azione del T3.
La terapia con T3 è disponibile in Italia sotto forma di gocce o fialette (Liotir).

Esiste anche una forma orale con compresse a lento rilascio (Slow Realise o SR) di Liotironina, disponibile come galenico oppure come Cytomel (non reperibile in Italia).

Il medico, sulla base degli esami effettuati e della situazioni cliniche del paziente, può stabilire il dosaggio individuale di T3 e il suo TIMING (quando assumerlo), che per questo tipo di terapia è FONDAMENTALE.

Dieta per la tiroide: la soia

La soia e i prodotti derivati dalla soia e/o contenenti soia hanno una azione spiccata funzionale sull’organismo. Per questo possono essere abilmente sfruttati in nutrizione funzionale, principalmente con l’intento di aumentare il livello di estrogeni circolanti.

Tuttavia bisogna prestare attenzione, perché la soia, e in particolare gli integratori che contengono soia, possono avere ripercussioni negative sulla tiroide, come è stato evidenziato da questo recente studio, che ha mostrato un meccanismo fino ad ora nascosto attraverso cui questo si verifica.

The Effect of High Dose Isoflavone Supplementation on Serum Reverse T3 in Euthyroid Men With Type 2 Diabetes and Post-menopausal Women. Thozhukat Sathyapalan et al. Frontiers in Endocrinology, 22 November 2018.

Ci siamo ispirati a questo interessante articolo scientifico per iniziare a sviscerare questo argomento.

Introduzione: la tiroide e la soia

Il consumo di prodotti derivati dalla soia è aumentato negli ultimi anni grazie ai potenziali benefici sulla salute che sono stati evidenziati, principalmente dovuti agli isoflavoni della soia. Questo ha portato allo sviluppo di integratori e supplementi alimentari a base di isoflavoni e alla fortificazione di cibi con isoflavoni della soia.

Non solo: per qualcuno, e magari anche per te, il consumo di prodotti derivati dalla soia è diventato un “atteggiamento” salutistico, dal momento che consente di introdurre proteine SENZA consumare il latte vaccino (nel caso del latte di soia) o proteine di origine animale (nel caso della dieta vegetariana).

È noto come gli isoflavoni della soia potrebbero esercitare un’azione protettiva sul cancro della mammella e della prostata, l’osteoporosi, le malattie cardiovascolari, e alleviare le vampate di calore e alcuni sintomi della menopausa.

Ad ogni modo ci sono evidenze che, in individui suscettibili, la soia potrebbe esercitare effetti negativi sulla funzionalità della tiroide.

La soia non è amica della tiroide. C’è poco da fare…

I meccanismi attraverso i quali gli isoflavoni della soia potrebbero interferire con la funzione tiroidea non sono chiari, ma è importante cercare di capirli visto l’ampio utilizzo di questi prodotti e la diffusione della patologie della tiroide.

Studi sugli animali hanno suggerito che gli isoflavoni della soia:

  1. potrebbero interferire con la funzionalità tiroidea attraverso una inibizione della tiroide tireoperossidasi (TPO)
  2. potrebbero inibire l’attività delle deiodinasi di tipo 1 e 2, il che potrebbe interferire con le concentrazioni degli ormoni tiroidei T3 e T4, nonché agire sulla deiodinasi 3, agendo sui livelli di T3 reverse.
  3. Gli isoflavoni favoriscono la sintesi di estrogeni. Non bisogna dimenticare come gli estrogeni competono con gli ormoni tiroidei per la navette che trasportano gli ormoni nel sangue.
    Più estrogeni ci sono meno disponibilità di navette ci sarà per il trasporto degli ormoni tiroidei dalla tiroide ai tessuti periferici: questo può determinare una carenza di ormoni tiroidei tissutali e sintomi di ipotiroidismo.
    Tutto questo può essere favorito dai fito estrogeni e dagli isoflavoni della soia.

In questo articolo recentemente pubblicato su Frontiers in Endocrinology The Effect of High Dose Isoflavone Supplementation on Serum Reverse T3 in Euthyroid Men With Type 2 Diabetes and Post-menopausal Women. Thozhukat Sathyapalan et al. Frontiers in Endocrinology, 22 November 2018, sono stati esaminati gli effetti degli isoflavoni della soia sul Reverse T3 (rT3 o 3,3′,5′-tri-iodothyronine) in due studi che hanno coinvolto 400 pazienti.

Materiali e metodi

  • Lo Studio 1 è stato uno studio randomizzato in doppio cieco effettuato su 200 uomini con diabete di tipo II e durato 3 mesi.
  • Lo Studio 2 è stato uno studio randomizzato in doppio cieco effettuato su 200 donne in post menopausa e durato 6 mesi.

I partecipanti ad entrambi gli studi sono stati divisi in due gruppi:

  1. Nel primo era prevista l’integrazione con uno snack bar contenente 7,5 g polvere proteica di soia isolata CON 33 mg di isoflavoni somministrato due volte al giorno tra i pasti (15 g di proteine di soia e 66 mg di isoflavoni al giorno).
  2. Nel secondo era prevista l’integrazione con 7,5 g di soia isolata proteine somministrate due volte al giorno (15 g di proteine di soia al giorno SENZA isoflavoni al giorno) come controllo.

L’introduzione di isoflavoni con la dieta nelle diete delle popolazioni asiatiche è stata stimata essere in un range che va da 30-50 mg al giorno mentre nei paesi occidentali all’introduzione isoflavoni andrebbe da circa 2 a 16 mg per vegetariani. Ad ogni modo, il dosaggio di 66 mg di isoflavoni usati nello studio è considerato essere un range farmacologico utilizzato per questo scopo dello studio in sé.

Risultati

In entrambi gli studi si è verificato un significativo aumento di T3 reverse (rT3) dopo tre mesi di supplementazione con questi elevati dosaggi di isoflavoni, mentre i valori di T3 reverse (rT3) non si sono modificati con l’assunzione di sola soia, suggerendo che è la componente con isoflavoni che responsabile per i cambiamenti della rete T3 reverse che si sono osservati.

La popolazione supplementata con gli isoflavoni della soia, ha mostrato un incremento della concentrazione di rT3 sia negli uomini 0.41(0.12) vs. 0.45 (0.14) nmol/L che nellle donne 0.33 (0.12) vs. 0.37 (0.09) nmol/L a 3 mesi comparati con quella che non ha utilizzato la supplementazione, anche dopo 6 mesi

I livelli di TSH (Thyroid stimulating hormone) sierico sono aumentati mentre le concentrazioni di Tiroxina libera (fT4) sono diminuiti nei tre mesi con la supplementazione di isoflavoni rispetto a quelli senza, sia negli uomini che nelle donne.

Il Reverse T3 era correlato con in TSH in entrambi gli studi (p = 0.03) ma non con FT3 ed FT4.

I Livelli di FT3 non ha mostrato differenze nella popolazione con o senza integrazione di isoflavoni.

Nello studio 2 che ha coinvolto le donne menopausa T3 reverse è diminuito fino ai valori di base dopo sei mesi di supplementazione con integratore, suggerendo i cambiamenti indotti all’isoflavoni sono transitorie e ritornano a valori normali come prima del trattamento in un periodo di sei mesi.

In entrambi gli studi, si è verificata una riduzione dell’FT4 e un corrispondente aumento del TSH, suggerendo che l’asse ipotalamo ipofisi tiroide è rimasto intatto.

La dose e la durata della supplementazione con isoflavoni della soia potrebbe non essere sufficiente a determinare una diminuzione anche dall’FT3, considerando il fatto che la maggior parte del T3 deriva dalla conversione extra tiroidea grazie all’azione della 5′-deiodinase di Tipo 1 e Tipo II.

Inoltre la supplementazione con isoflavoni della soia potrebbe aumentare l’eliminazione epatica del T4 attraverso l’induzione epatica dell’enzima, come frequentemente viene osservato per farmaci e xenobiotici, mentre la concentrazione di T3 sierico rimane costante.

La risposta uniforme nei due gruppi con l’aumento della T3 reverse in risposta ad elevati dosaggi di isoflavoni, potrebbe suggerire che questo cambiamento non è idiosincratico.

Da sottolineare come il cambiamento nei livelli di T3 reverse con la supplementazione di isoflavoni era simile negli uomini con diabete di tipo II e nelle donne in post-menopausa, il che potrebbe escludere effetti legati solo al diabete o alla menopausa.

Il T4 sierico è metabolizzato all’ormone attivo T3 o all’ormone in attivo T3 reverse in modo reciproco a seconda delle relative azioni sui tessuti della deiodinasi di tipo uno o di tipo tre.

Discussione

La spiegazione dell’aumento del T3 reverse visto in questi studi non è univoca.

Una delle principali sorgenti di T3 reverse è la conversione periferica della tiroxina (T4) a T3 reverse. L’enzima responsabile di questo si chiama deiodinasi di tipo 3.

Si potrebbe allora ipotizzare che gli isoflavoni potrebbero attivare la deiodinasi di tipo 3, ma non ci sono dati sulla diretta stimolazione dell’espressione di alcun tipo di deiodinasi da parte degli isoflavoni.

La degradazione del T3 reverse è principalmente dovuta all’azione della deiodinasi di tipo 1 (epatica e renale), ma anche della deiodinasi di tipo 2.

Un’altra plausibile spiegazione potrebbe essere che gli isoflavoni, in modo transitorio, inibiscono la deiodinasi di tipo 1 e o la deiodinasi di tipo 2, che potrebbe portare ad un accumulo di T3 reverse nel sangue.

La breve emivita e il rapido turn-over del T3 reverse potrebbe determinare questi cambiamenti transitori e gli effetti dei flavonoidi sulle deiodasi e sulla transretina potrebbero manifestarsi come variazioni delle concentrazioni seriche di T3 reverse, che è meno legato alla distribuzione delle proteine sieriche rispetto al T3 e al T4 .

Ci potrebbero essere meccanismi multipli attraverso quali gli isoflavoni agiscono sul metabolismo, la distribuzione e /o il trasporto degli ormoni tiroidei con una complessità che necessita di ulteriori delucidazioni.

Non è chiaro se gli effetti degli isoflavoni possono essere differenti fra pazienti con e senza patologia tiroidea autoimmune.

Il T3 reverse (rT3)

È bene ricordare come il R3 Reverse (rT3) funzioni come il “FRENO” del metabolismo, ovvero lo rallenti.

Il “T3 Reverse” è un ormone tiroideo che viene prodotto da tutti e si chiama così perché chimicamente ha una forma “quasi” speculare al T3 (da cui il nome Reverse).

Questa sua struttura, simile al T3, fa si che sia in grado di occupare gli stessi recettori (non rendendoli più disponibili al T3, l’ormone clinicamente attivo). L’rT3 è un ormone inattivo e non è in grado di stimolare il metabolismo e anzi un suo eccesso lo può addirittura rallentarlo (perché occupa i recettori del T3). Il suo scopo è proprio questo: evitare un eccesso di T3.

Un eccesso di rT3 rispetto al T3 e un rapporto FT3/rT3 alterato può determinare sintomi da IPOTIROIDISMO anche se gli altri esami di routine (TSH, FT3 ed FT4) sono nella norma.

Livelli circolanti ridotti di FT3 sono un marcatore importante di cattiva salute specialmente in un contesto in cui sono associati ad elevati livelli di T3 reverse.

Invecchiamento e T3 Reverse

Alcuni studi hanno evidenziato che, in una popolazione di ANZIANI, le concentrazioni sieriche di rT3 aumentavano con l’età e la presenza di comorbilità.

Elevate concentrazioni di T3 reverse negli anziani potrebbero essere determinati da una diminuzione metabolismo periferico degli ormoni tiroidei dovuto al processo di invecchiamento di per sé e/o ad una malattia e potrebbero riflettere uno stato catabolico.

Invece, il digiuno o una alimentazione con un ridotto introito calorico, l’esposizione al freddo, e anche a infezioni o a malattie infiammatorie sono sufficienti a ridurre FT3 ed aumentare le concentrazioni di T3 reverse in individui altrimenti sani.

In uno studio effettuato su una coorte di individui anziani, le concentrazioni di T3 reverse erano associate ad un aumento della mortalità per tutte le cause di malattia durante i nove anni il follow-up, suggerendo che il T3 reverse potrebbe essere un marcatore più sensibile dell’FT3 per le malattie non tiroidee.

Al contrario, non sono state rilevate associazioni significative con la mortalità per FT3, FT4, e TSH.

Tuttavia esistono studi che evidenziano come la soia possa interferire con l’assorbimento dello iodio e quindi indirettamente con la sintesi di ormoni tiroidei.

Chi assume farmaci per l’ipotiroidismo, come la levotiroxina sodica o la tiroide secca, dovrebbe porre particolare attenzione nell’assunzione di prodotti a base di soia, in quanto è dimostrato che la soia può interferire con l’assorbimento del farmaco.

L’assunzione concomitante del farmaco e di prodotti a base di soia (come il latte di soia) quindi è sconsigliata. Se proprio non si riesce a farne a meno o non si trova un alimento sostitutivo è preferibile ritardare l’assunzione dei derivati della soia di almeno 4-5 ore rispetto all’assunzione del farmaco.

Conclusione

In conclusione questi studi hanno dimostrato che gli isoflavoni della soia hanno determinato un transitorio aumento dei livelli di rT3 nei primi tre mesi, sebbene sono tornati ai livelli normali dopo 6 mesi.

Il meccanismo per cui questo avviene sarebbe legato ad una inibizione transitoria degli enzimi deiodinasi 1 e/o deiodinasi 2 per i primi 3 mesi o a una inibizione della deiodinasi 3, che genera Reverse T3 dal T4, a 6 mesi.

Questi cambiamenti si rispecchiano nelle concentrazioni di TSH, che suggeriscono che elevati dosaggi di isoflavoni della soia potrebbero transitoriamente peggiorare l’omeostasi della tiroide e potrebbero impattare sulla salute generale durante questo periodo di tempo.

L’importanza di questo studio deriva dalla dimostrazione dell’influenza di supplementi a base di soia sui livelli di T3 reverse.  È questo un ormone ancora misconosciuto ma responsabile in maniera determinante dell’omeostasi del complesso tiroideo e della funzionalità cellulare e mitocondriale.

Addio alla Tiroide IBSA

La Tiroide IBSA non sarà più disponibile.

Non è una fake news: la Tiroide IBSA non sarà più disponibile è una notizia verificata presso i vertici aziendali italiani IBSA. Esistono ancora scorte presso i fornitori, per cui è possibile che qualche farmacia riesca a procurarla, ma andrà ad esaurimento.

Si chiude una parentesi importante nella storia del trattamento della tiroide in Italia.

Moltissimi pazienti hanno trovato grande beneficio dall’utilizzo della Tiroide IBSA e hanno cambiato radicalmente la qualità della loro vita grazie a questa terapia.

Quindi molti pazienti che avevano ottenuto un grandissimo miglioramento clinico rischiano di precipitare nella confusione più totale e di tornare alla situazione di partenza.

Ricordiamo che la Tiroide IBSA era un derivato sintetico contenente gli ormoni tiroidei T3 e T4 in proporzioni standardizzate.

Esistevano 2 formulazioni:

  • Tiroide IBSA 33 (pari a tetraiodotironina sodica (T4) 19,54 mcg + triiodotironina sodica (T3) 5,69 mcg)
  • Tiroide IBSA 125 (pari a tetraiodotironina sodica (T4) 74 mcg + triiodotironina sodica (T3) 21,4 mcg).

La tiroide IBSA rientrava fra le categorie di farmaci che venivano utilizzati nell’ambito di un approccio alla tiroide a 360°.

La quota di T3 presente era in grado di agire quando, per vari motivi, nel paziente non si verificava una conversione ottimale dalla Levotiroixina (T4).

La facile reperibilità e il basso prezzo erano altri punti di forza della tiroide IBSA.

Ci sono però 2 buone notizie:

  • Può essere allestito, su prescrizione medica, il preparato galenico contenente T3 e T4 di sintesi, con il dosaggio e il rapporto presente nella tiroide IBSA.
  • Può essere utilizzata la Tiroide secca, su prescrizione medica, qualora venisse vi sia l’indicazione clinica.

È bene precisare che per ottenere le preparazioni galeniche è necessario, oltre che della prescrizione medica, anche la preparazione SOLO da parte di farmacie altamente qualificate in questo settore e con tutte le certificazioni di legge.

In un campo così delicato come quello della terapia ormonale, scegliere la farmacia solo per il fatto che è vicina a casa, è più comoda oppure è meno cara, può essere estremamente pericoloso.

Alga spirulina e Tiroide: facciamo chiarezza

Negli ultimi anni l’alga spirulina è giunta sotto i riflettori del grande pubblico e della scienza per le sue innegabili proprietà salutistiche.

L’azione che l’alga spirulina esercita sulla tiroide, principalmente grazie allo iodio in essa contenuta è una delle più conosciute, ma non è l’unica.

È bene chiarire come sia estremamente limitativo asserire, come viene fatto spesso, che “dal momento che contiene iodio, migliora la funzionalità tiroidea”. Abbiamo dedicato un post specifico all’uso dello iodio per il trattamento della tiroide.

Il fabbisogno di iodio di un adulto è di circa 150 microgrammi. Il dosaggio di spirulina, come integratore, in grado di coprire il fabbisogno giornaliero è di circa 3 grammi.

A differenza di quanto si possa pensare, l’esperienza clinica e quella derivante dal test della ricerca dello iodio nelle urine delle 24 ore dei pazienti, mostra che nella nostra popolazione è non è comune una carenza di iodio, mentre sempre più spesso si osserva un eccesso di iodio, non raramente di origine iatrogena ovvero legato a supplementazioni con soluzione di Lugol o alghe, come il Fucus, assunte o prescritte impropriamente.

Se è vero che le alghe hanno proprietà uniche che giustamente vengono valorizzate, è anche vero che ci sono pazienti affetti da malattie della tiroide che, affidandosi al web o al loro “sesto senso”, abbandonano in silenzio la terapia prescritta dal medico o dall’endocrinologo, nella speranza di guarire una volta per tutte in modo naturale dalla loro malattia cronica con le alghe o con qualche integratore. Sarebbe bello ma è un pensiero magico e non realizzabile nella maggior parte dei casi. Quello che può accadere è di compromettere ancora di più il funzionamento della tiroide, del complesso tiroideo e di tutto il sistema ormonale, rendendo poi ancora più difficile uscire da quella situazione critica.

Rammentiamo come sia necessario rivolgersi sempre ad un medico o ad un endocrinologo prima di modificare o sospendere la terapia intrapresa.

Di seguito viene riportato un interessante articolo pubblicato da Radha Palaniswamy and Chandra Veluchamy nel 2018 sugli usi terapeutici della spirulina.

È una review, quindi una revisione di articoli pubblicati su questo argomento, l’uso terapeutico dell’alga spirulina. Il linguaggio pertanto è quello delle revisioni sistematiche scientifiche e non discorsivo come di solito avviene nei blog.

Tuttavia, visto lo spessore, direi di leggerla…

Spiega tutte le proprietà dell’alga spirulina, che possono essere sfruttate a 360°.

Buona lettura…

International Journal of Current Innovation Research Vol.4, Issue, 1 (A), pp. 975-979, January, 2018
Review Article

THERAPEUTIC USES OF SPIRULINA: A REVIEW

Radha Palaniswamy* and Chandra Veluchamy

*Department of Biotechnology, Dr N.G.P. Arts and Science College, Coimbatore – Tamil Nadu (India)

L’alga spirulina deriva il suo nome dall’aspetto a spirale del filamento visibile al microscopio (Belay, 2002). La spirulina viene anche chiamata anche Arthrospira è un’alga giallo-verde che ha una lunga storia. Oggi trova ampia diffusione in agricoltura, in dietetica, nell’industria farmaceutica e può essere usata come tale o sotto forma di integratore alimentare o di supplemento a vari tipi di cibi e bevande (Hayashy et al. 1996).

Struttura

L’alga spirulina contiene clorofilla e la clorofilla ha la stessa struttura dell’emoglobina eccetto per l’atomo centrale, dove presente il ferro per l’emoglobina e il magnesio per la spirulina. È noto come l’emoglobina è la proteina che trasporta ossigeno nei globuli rossi, ma non ha solo questa funzione (Cheng.Wu et al., 1994). La spirulina svolge anche numerose azione grazie alla sua struttura e al fatto che contiene clorofilla.
È utile per la formazione dei globuli rossi, aumenta l’energia, migliora la detossificazione epatica, limita la crescita batterica del tratto digestivo, blocca la produzione di lieviti e funghi ed elimina l’alito cattivo (Ghaeni e Roomiani, 2016).

La composizione nutrizionale della spirulina varia a seconda delle condizioni in cui si è sviluppata. Per esempio il contenuto di iodio varia a seconda del fatto che la spirulina è cresciuta in acqua salata o in acqua dolce.  Va sottolineato che la parete cellulare della spirulina è composta da proteine, carboidrati e grassi e non da cellulosa indigeribile. Perciò la biodisponibilità di nutrienti della spirulina potrebbe essere migliore di altre fonti alimentari, soprattutto vegetali (Selmi et al. 2011).

Usi

L’alga spirulina può essere utilizzata per prevenire e trattare l’anemia. Può anche contribuire a mantenere l’organismo in uno stato alcalino. È un grande agente anti-aging, antiossidante e antinfiammatorio. La spirulina può anche arrivare in soccorso in caso di ipercolesterolemia. L’elevato contenuto di clorofilla aiuta ad eliminare le tossine dal sangue, agendo come un detox naturale. Aiuta anche potenziare il sistema immunitario (Capelli, 2010).

Sicurezza

Molti studi tossicologici hanno provato la sicurezza dell’alga spirulina. La spirulina appartiene alle sostanze che sono riconosciute dalla US Food and Drug Administration sotto la categoria riconosciuta come sicure. Nella spirulina è stato misurato anche il 3,4-Benzopirene, che serve come buon indicatore della presenza di idrocarburi aromatici policiclici, che sono delle potenti sostanze mutagene e cancerogene. La quantità osservate solo sotto quelle trovate nella maggior parte delle comuni verdure (Chamoro, 1980).

Effetti su diabete, obesità, ipertensione

È stato evidenziato come la frazione solubile di spirulina è in grado di abbassare livelli di glucosio serici a digiuno mentre la frazione insolubile riduce i livelli glicemici dopo carico di glucosio. In uno studio clinico sull’uomo condotto su 15 diabetici fu osservato un significativo decremento nel livelli di glicemia a digiuno dopo 21 giorni di supplementazione di spirulina (Akao 2009). Gli effetti sulla riduzione del colesterolo e gli effetti sul diabete e le malattie cardiovascolari rimangono fra i più importanti fattori di rischio. Nakaya e al. (1988), nel primo studio umano condotto sulla Spirulina, somministrarono 4,2 g al giorno di Spirulina a 15 volontari e osservarono una significativa riduzione del LDL dopo 8 settimane di trattamento, sebbene questi non mostrarono un significativo aumento del colesterolo HDL. Diminuì anche in modo significativo l’effetto aterogenico in questo gruppo, a dimostrazione del fatto che la Spirulina può essere responsabile di questo effetto.

Rumamoorthy et al. (1996) somministrarono spirulina in pazienti con infarto del miocardio e trovò una significativa riduzione del colesterolo sierico, dei trigliceridi, del LDL colesterolo, e un aumento del colesterolo HDL. Mani et al (2000) in uno studio clinico, trovarono una significativa riduzione del rapporto LDL:HDL in 15 pazienti a cui era stata somministrata la Spirulina.

Ad ogni modo questi studi sono stati effettuati su piccoli campioni e necessitano di ulteriori conferme prima che la Spirulina possa essere raccomandata nel diabete.

Gli effetti anti-diabetici sono anche stati visti con la supplementazione di 2 g di spirulina al giorno per due mesi sulla glicemia emoglobina glicata e il profilo lipidico .

L’abbassamento dei livelli di glucosio a digiuno e postprandiali e dell’emoglobina glicata mostrano la proprietà anti-diabetiche della spirulina. (Parikh et al., 2001)

Micronutrienti e minerali in traccia

Gli oligoelementi e i minerali in traccia sono nutrienti essenziali richiesti in piccole quantità nella dieta quotidiana che giocano un ruolo principale in varie attività cellulari. Uno dei più importanti metalli in traccia è il selenio, coinvolto dalle funzioni del sistema immunitario riproduttivo, cardiovascolare, nel cancro, nel controllo delle infezioni virali e nella tossicità dei metalli. Un altro essenziale alimento in traccia lo iodio, la cui carenza coinvolge la funzione tiroidea, cardiovascolare e il cervello. La spirulina ha il potenziale per essere usata come substrato per la produzione di selenio e di composti contenenti iodio (Desai e Sivakami, 2004).

La proporzione relativa fra calcio e fosforo (Ca:P) presente nella Spirulina è compatibile con la preservazione della salute dell’osso, dal momento che riduce il rischio di decalcificazione. È anche una grande sorgente di molti altri micronutrienti, come la vitamina B6, la vitamina C, la vitamina D, e la vitamina A. E anche una sorgente di potassio, cromo, rame, magnesio, fosforo, manganese, selenio e zinco.

Proteine

L’alga spirulina non ha cellulosa nella sua parete cellulare, essendo composta da mucopolisaccaridi e questo la rende facilmente digeribile e assimilabile. Questo rende le proteine della spirulina facilmente digeribili (Branger 2003). È dall’85% al 95% digeribile, rendendo importante per quelle persone che soffrono di malassorbimento intestinale, tipicamente gli anziani.
L’alga spirulina è efficace per i soggetti con malassorbimento come i pazienti affetti Kwashiorkor, dove la capacità intestinale di assorbimento è stata danneggiata. Per i bambini malnutriti può essere più efficace delle proteine del latte in polvere, perché le proteine del latte possono essere difficili da assorbire (Kelly et al 2011). La spirulina è costituita per il 65% di proteine, il che è una quota estremamente alta per un vegetale ed è una delle ragioni per cui sta diventando così diffusa. Contiene anche otto aminoacidi essenziali. Assumerla è un modo facile salutare per potenziare l’intake proteico ed può essere una sorgente importante di proteine per i vegetariani. Inoltre queste proteine sono altamente assorbibile (Sharoba, 2014).

Attività antivirale

Esiste una ricerca che riguarda l’alga spirulina che mostra i suoi effetti antibatterici e antimicotici (Funteu F., 1996). Questi risultati dimostrano un eccellente inibizione in vitro del virus HIV, sia nelle linee T-cell che nei monociti umani. L’ingestione di spirulina contribuisce alla preservazione dell’epitelio intestinale, che agisce come prima barriera contro le infezioni (Sheahan et al.,2003). In uno studio dose dipendente nel topo (Shklar et al., 1998) è stata osservata l’inibizione della risposta immune umorale, della risposta cellulo mediata e del TNF alfa. La spirulina è stata anche riconosciuta in grado di proteggere contro la febbre da fieno (Simpore et al, 2005).

Malattie degli occhi

L’alga spirulina è ricca di Betacarotene, che può risolvere problemi agli occhi determinati dalla carenza di vitamina A. La spirulina è in grado di provvedere al fabbisogno quotidiano di betacarotene, che può aiutare a prevenire le malattie oculari (Seshadri, 1993). La quota proteica e di vitamine del gruppo B la rendono un supplemento nutrizionale importante nella dieta del bambino. Inoltre, è l’unico cibo oltre al latte materno che contiene quote acidi grassi essenziali, aminoacidi essenziali e GLA che aiutano a regolare l’intero sistema ormonale (Ramesh et al 2013).

Sostituto della carne

Le alghe rappresentano una delle poche alternative alla carne di origine animale per la vitamina B12 nella dieta. La vitamina B12 non è sintetizzata dai vegetali superiori (Croft et al., 2005) così frutta e verdura sono scarse sorgenti di vitamina B12, il che spiega perché la carenza di vitamina B12 è così comune tra le persone che seguono una dieta vegetariana o vegana stretta (Wagner-Dobler et al., 2010). Per questo è considerato una buona fonte di vitamina B12 per i vegani (Gutierrez et al 2015). Di tutte le vitamine la vitamina B12 è la più grande e la più complessa; rappresenta una delle cobalamine biologicamente attive. Il fatto che la spirulina ha un eccezionale contenuto di vitamina B12, come al tre alghe marine, è di grande importanza perché questa vitamine contenuta solo nei cibi di origine animale.

Effetti sulla epato-tossicità

L’azione epato-protettiva dell’alga spirulina si manifesta sull’epato tossicità da Galatosammina (nel topo). L’effetto protettivo della spirulina è molto promettente,  come evidenziato dalla riduzione dei valori alterati che seguono alla sua somministrazione. Avviene probabilmente attraverso la rigenerazione degli epatociti ed è confermata da studi isto- patologici. Le proprietà epato-protettive dell’estratto potrebbero essere attribuite la presenza di vari componenti che sono presenti nella Spirulina (Mathew et al., 1995). Tuttavia, servono ancora ricerche per capire il meccanismo di azione per cui la spirulina è in grado di proteggere contro l’epato tossicità indotta da galattosamina.

Effetti antinfiammatori

Studi recenti rivelano che la bilirubina libera svolge importanti azioni come potente inibitore della attività della NADPH ossidasi. La ficocianobilina (PCB), che si trova nelle alghe blu verdi e nei cianobatteri come la Spirulina, sono stati anche trovati essere un potente inibitore di questo complesso enzimatico, probabilmente perché le cellule dei mammiferi è rapidamente ridotto in ficorubina, un omologo della bilirubina (Helliwell 2011). Somministrata a livello orale la spirulina può esercitare un vasto range di effetti antinfiammatori. Finché gli estratti di Spirulina arricchiti di PCB non saranno prodotti, il modo più semplice e meno economico di somministrare PCB è quello di assumere tutta la spirulina (McCarty 2007).

Effetti protettivi sulle radiazioni

La protezione delle radiazioni della spirulina potrebbe essere dovuta ai fito-pigmenti in essa contenuti (carotenoidi, clorofilla, ficocianine) e ai polisaccaridi. (Hirahashi 2002).
La spirulina può aumentare in modo significativo l’attività di tutti gli enzimi antiossidanti, come la superossido dismutasi, la catalasi, la glutatione perossidasi e la glutatione reduttasi.

Bambini sottoposti a bassi livelli di radiazioni lungo periodo di tempo e supplementati con 5 g di Spirulina al giorno hanno manifestato una riduzione del Cesio 137 nelle urine del 50%.
La ficocianina C e gli strati di polisaccaridi presenti nella spirulina stimolano la guarigione dei globuli bianchi e la conta delle cellule del midollo osseo. Con il trattamento, si è ridotta anche l’anemia secondaria alla irradiazione (Karkos et al., 2008).

Ruolo della Spirulina della immunità

L’alga spirulina favorisce la risposta immune e migliora la resistenza alle infezioni virali,  migliora le componenti del sistema immune delle mucose e sistemico, dal momento che attiva le cellule del sistema immunitario innato. La Spirulina è stata anche mostrata in grado di attivare i macrofagi, le cellule T e B del sistema immunitario (Swartz et al., 1987).
I sulfolipidi presenti nella spirulina hanno anche manifestato un effetto contro l’HIV. Estratti dalla Spirulina sono stati trovati utili anche contro l’herpes virus, il citomegalovirus e il virus dell’influenza. Gli estratti di spirulina si sono rivelati in grado di inibire la carcinogenesi (Blinkova, 2001). L’uso della spirulina conduce a più alti livelli di cellule natural killer, interferone gamma e a una più potente produzione di interleuchine (Hirahashi et al., 2002). Numerosi esperimenti hanno mostrato che la spirulina ha una favorevole azione regolatoria sul sistema immunitario (Borchers , 2007). La spirulina stimola l’attivazione di macrofagi così come l’attività delle cellule T e natural killer. Questo processo induce il rilascio di interferone gamma, che può portare alla inattivazione del virus. Queste azioni si ritiene siano mediate da polisaccaridi (Borchers 2009).

Profilo antiossidante e nutrizionale

L’alga spirulina contiene acidi fenolici, tocoferoli, e betacarotene che notoriamente sono in grado di esercitare una attività antiossidante. Miranda et al (1998) hanno valutato la capacità antiossidante della spirulina. I dati derivanti da questi studi evidenziano che l’ingestione di spirulina tratta o previene lo stress ossidativo e l’infiammazione e i danni associati indotti da questi fattori (Deng e Chow, 2010). Sebbene questi studi non hanno studiato direttamente gli effetti della spirulina sul sistema cardiovascolare, i risultati ottenuti mostrano chiaramente l’attività antiossidante e antiinfiammatoria della spirulina, che si riflette anche su questo sistema.

L’80% più di calcio del latte, il 670% di proteine più del tofu, 3100% più di betacarotene delle carote, 5100% più di ferro degli spinaci, spiegano perché l’attività antiossidante e anti-infiammatoria di 3 g di Spirulina sia maggiore di quella di cinque porzioni di frutta e verdura (Moorhead et al., 2005). La spirulina è anche molto ricca di calcio, che è importante per la crescita dei bambini e per lo sviluppo dei loro denti. La spirulina contiene più di 26 volte il calcio presente nel latte.

Anemia

L’alga spirulina aumenta la produzione e la funzione dei globuli rossi. In uno studio di 12 settimane si è osservato un costante aumento nei livelli medi di emoglobina,  dopo una supplementazione di Spirulina. Le donne più anziane hanno manifestato un miglioramento più rapido con la supplementazione (Mohan et al., 2014). I livelli di anemia sono diminuiti anche nei bambini, quando la loro dieta era supplementata con  spirulina (Branger et al., 2003).
La Spirulina è una fantastica sorgente di ferro, il che significa che è eccellente per le donne in gravidanza. Infatti 100 g di Spirulina contengono 158% del ferro giornaliero raccomandato.

Effetti anticancro

Molti ricercatori hanno trovato come la ficocianina, che è un pigmento che si trova solo nella spirulina e in altre specie di alghe blu verdi, possiede una potente azione antiossidante, antinfiammatoria e anticancro (Subbashini et al., 2004). È stato argomentato che la combinata della azione antiossidante e di modulazione del sistema immunitario della spirulina potrebbe essere un possibile meccanismo della distruzione del tumore e potrebbe giocare un ruolo nella prevenzione del cancro. In particolare sulla carcinogenesi orale, in particolare la leucoplachia, la spirulina ha mostrato la capacità di regressione del tumore dopo applicazioni topiche o l’assunzione di orale (Shaklee e Schartz 1988). Jalaia et al. nel 2011 hanno studiato gli effetti della spirulina sulla chemio prevenzione del cancro in masticatori di tabacco in Kerala, India. È stato evidenziato come la supplementazione con spirulina, al dosaggio di 1 g al giorno per un anno, ha condotto alla completa regressione della neoplasia. Se la Spirulina mostra di avere questi effetti può essere facilmente incorporata nella dieta giornaliera come agente terapeutico (Baley, 2002).

Conclusioni

L’alga spirulina mostra effetti significativi di modulazione del sistema immunitario ed evidenzia una attività antivirale contro una varietà di virus. La spirulina mostra un’azione promettente nella prevenzione del cancro e nel trattamento di alcuni tumori. La spirulina mostra di avere potenziali benefici nel migliorare il profilo lipidico, la prevenzione dell’aterosclerosi e il controllo dell’ipertensione arteriosa. In aggiunta, la spirulina contiene elevati livelli di pro vitamina A di altri importanti nutrienti tra cui proteine, minerali, vitamine, e antiossidanti.  La produzione mondiale di alghe, e prodotti che contengono alghe, ha portato a migliaia di tonnellate all’anno dopo che le ricerche ha mostrato la sua importanza sulla salute (Tang e Suter 2011).

Anche se questi studi evidenziano la potenzialità della spirulina come supporto nutrizionale, ulteriori studi di conferma sono necessari prima che il suo utilizzo venga approvato dal punto di vista medico.

https://journalijcir.com/sites/default/files/issue-files/00655-A-2018_0.pdf

I dieci passi fondamentali per superare l’ipotiroidismo: l’ebook di Tiroide 360

L’ebook di Tiroide 360, I DIECI PASSI FONDAMENTALI PER SUPERARE L’IPOTIROIDISMO, rappresenta il frutto della collaborazione di due medici di fama mondiale che hanno deciso di portare chiarezza sul nebuloso tema dell’ipotiroidismo.

L’Ebook I DIECI PASSI FONDAMENTALI PER SUPERARE L’IPOTIROIDISMO, deriva dalla esperienza internazionale del Dott. Ascanio Polimeni e del Dott. Claudio Tomella e dai loro 30 anni di lavoro clinico su migliaia di pazienti nonché dal confronto con colleghi di tutto il modo che sono il top nel loro settore.

Leggere libri, pubblicazioni ed essere speaker ai congressi non basta!

L’ebook scaturisce da queste basi con l’intento di capire cosa sia veramente alla base del funzionamento o del malfunzionamento della tiroide.

Il linguaggio è volutamente non specialistico o “medichese”, anche se i contenuti sono di grande valore.

Il consiglio è di leggerlo tutto, anche se sappiamo che è lungo e articolato, per tornare poi sulle parti che ritieni più interessanti e che ti riguardano direttamente.

Se cerchi sul web o in libreria qualcosa di simile lascia perdere.
Non esiste nulla di così innovativo, articolato e professionale.

Le malattie della tiroide colpiscono circa 6 milioni di italiani, e di questi il 40 % non è soddisfatto della cura (Doxa 2014). Questi sono i dati, senza considerare i casi che non vengono diagnosticati perché non vengono fatti gli esami giusti.

L’effetto finale è che una moltissime persone continuano a soffrire dei sintomi di ipotiroidismo nonostante stiano seguendo scrupolosamente la cura che viene indicata nei protocolli.

Allora si possono verificare diverse condizioni:

  • Alcuni pazienti iniziano a girovagare da un medico all’altro “sperando” di risolvere il loro problema. Si accorgono ben presto che quello che viene fatto è solo aumentare il dosaggio del farmaco prescritto, la Levo-Tiroxina (T4). Ad altri verrà consigliato il passaggio ad una forma liquida o a compresse a rapido assorbimento dello stesso farmaco, senza tuttavia un miglioramento sensibile dei sintomi.
  • Alcuni pazienti provano a rivolgersi al “Dottor Web” e tentano di curarsi da soli, con tutte le insidie che ci possono essere.
    Arrivano a sospendere il farmaco prescritto dal medico o dall’endocrinologo per iniziare con uno o più integratori ben recensiti dal web. Quello che stanno cercando di fare (stare meglio quando pare non vi sia una via di uscita con i canali istituzionali) è in qualche modo comprensibile: quello che viene fatto però è sbagliato.Ricordati che stai giocando e facendo esperimenti che possono migliorare ma anche compromettere, in modo più o meno reversibile la tua salute.
  • Alcuni pazienti si iscrivono ad uno o più gruppi Facebook in tema di Tiroide, cercando la soluzione dal confronto e dal dialogo con persone che sono sulla stessa barca.
    Bisogna riconoscere che spesso gli amministratori dei gruppi, anche se non sono necessariamente medici, hanno esperienza diretta in tema di tiroide e possono ben indirizzare le persone che si avvicinano per la prima volta ad una visione “alternativa” della tiroide.
    Eh si!! La maggior parte dei gruppi, e quindi delle persone che soffrono per la tiroide, tende ad allontanarsi dal protocollo ufficiale di diagnosi e cura per avvicinarsi ad una visione integrata della tiroide. Tuttavia, come sempre, vi è anche che scrive sui gruppi con la superficialità di chi commenta il gossip dal parrucchiere o le partite di calcio al bar. Attenzione quindi!!!
    Rimane il fatto che ogni persona ha una propria storia clinica e di vita e basarsi solo sulle esperienze di altri può essere pericoloso: il consulto da un medico qualificato e con esperienza in questo settore rimane fondamentale.
  • Alcuni pazienti non vanno né dal medico, né dall’endocrinologo né assumono una terapia farmacologica per la tiroide. Semplicemente nessuno pensa alla tiroide. I pazienti quando hanno letto gli esami del sangue di routine non hanno visto asterischi sul TSH e quindi sono tranquilli. Anche il medico di famiglia ha detto che è tutto ok e che la tiroide non centra nulla. Ma loro stanno male e per cercare di risolvere i loro sintomi vengono inviati dallo psichiatra, dal dietologo, dal ginecologo, dall’ortopedico, dal fisiatra, etc. oppure vengono liquidati con risposte del tipo: “Sarà lo stress…”.
  • Altri pazienti con la terapia farmacologica con Levo-Tiroxina stanno bene. Bisogna riconoscerlo!!!
    Questa terapia naturalmente ha una base scientifica solida e un razionale, ma il punto è che presenta dei limiti, non funziona bene per tutti, non funziona bene sempre… ma va tenuta in considerazione.
    Sappiamo bene come ci sono medici che si occupano di terapia “alternativa” alla tiroide e vogliono essere sempre “alternativi”. Utilizzano SOLO la tiroide secca o derivati sintetici con T3 e T4 in tutti pazienti e basta.. Finito!! Anche questo è un grosso limite. Non si tratta di una gara fra medicina convenzionale e medicina non convenzionale o una questione di ideologia!
    Il medico deve essere obiettivo e pronto ad utilizzare tutte le possibilità diagnostiche e terapeutiche disponibili a seconda del caso clinico, nell’interesse del paziente.

Per questi motivi, per avere un approccio realmente globale e a 360 gradi sulla tiroide, è necessario conoscere alla perfezione:

TUTTO il “Complesso Tiroideo” (è descritto in dettaglio nell’ebook) e la tiroide,

TUTTI gli ormoni, tutta la nutrizione,

TUTTA la medicina anti-Aging,

TUTTA la medicina convenzionale

TUTTA la medicina non convenzionale

E il campo dei medici qualificati che sono in grado di fare tutto questo si restringe molto.

Se non lo hai ancora fatto, scarica l’ebook compilando il form qui sotto.

Domande e risposte per chi si avvicina alla tiroide

Cos’è la tiroide?

È una ghiandola endocrina localizzata nel centro del collo, dalla tipica forma a farfalla.

Ma ricordati… Affinchè gli ormoni tiroidei funzionino è necessario che tutto il Complesso Tiroideo funzioni! (Scarica l’ebook dove è tutto questo è spiegato nel dettaglio)

Che cosè una GHIANDOLA ENDOCRINA?

È un insieme di cellule che sono specializzate nel produrre ormoni.

Gli ormoni, una volta prodotti dalle ghiandole endocrine, vengono liberate nel sangue attraverso il quale possono raggiungere i loro tessuti target

Cosa sono gli ORMONI?

Sono sostanze in grado di portare messaggi biologici a distanza (rispetto alle ghiandole che li producono).

Per questo gli ormoni tiroidei hanno azioni su tanti organi, anche diversi e distanti fra loro, dal cuore, al cervello, ai muscoli, all’ apparato riproduttivo, etc.

Funzionano in piccolissime quantità, che si potrebbero definire omeopatiche: quindi gli ormoni sono estremamente potenti.

A cosa SERVE la tiroide ?

La tiroide serve per sintetizzare gli ormoni tiroidei e la calcitonina.

QUANTI sono gli ormoni tiroidei ?

Gli ormoni tiroidei sono 5

COME SONO FATTI gli ormoni tiroidei ?

Gli ormoni tiroidei vengono formati su una base costituita da un aminoacido che si chiama Tirosina, su cui vengono inseriti atomi di un minerale, lo Iodio.

Per questo motivo è importante che nella dieta vi sia una quota di proteine sufficiente per la sintesi di ormoni tiroidei (dove è presente la tirosina) e una adeguata quota di iodio.

La tiroide è l’unico organo dell’organismo in grado di utilizzare lo iodio. Se la carenza può essere un problema attenzione agli eccessi (leggi anche il nostro articolo “sei sicuro che lo iodio ti faccia bene?”  ).

Esistono degli enzimi che servono per la sintesi degli ormoni tiroidei (Es, Tireoperossidasi) o per la “Deiodinazione” ovvero il meccanismo di rimozione delle molecole di iodio dagli ormoni tiroidei che serve per la trasformazione degli ormoni tiroidei (es. deiodinasi di tipo 1,2 e 3).

Come si chiamano gli ormoni tiroidei e da cosa deriva il loro nome?

Gli ormoni tiroidei vengono denominati in base al numero di atomi di Iodio presenti e alla loro posizione chimica nello spazio:

  1. T1: mono iototironina
  2. T2: di iodotironina
  3. T3: tri iodotironina
  4. T4: tiroxina
  5. rT3: Reverse T3

Quali sono gli ormoni tiroidei più importanti?

Gli ormoni tiroidei più importanti sono considerati il T3 e T4.
Tuttavia, anche  rT3, T1 e T2 svolgono funzioni non trascurabili.

Nel blog di Tiroide360 e nell’ebook I dieci passi fondamentali per superare l’ipotiroidismo si parla diffusamente del ruolo del Reverse T3 e anche delle funzioni del T1 e del T2 oltre, naturalmente, a quelle del T3 e del T4.

Perché è importante la tiroide?

È importante perché gli ormoni tiroidei che vengono prodotti dalla tiroide sono il carburante di tutto l’organismo.

Gli ormoni tiroidei servono per fornire energia ai mitocondri e alle cellule di tutto il nostro corpo. Nonostante le sue ridotte dimensioni, la tiroide influenza l’attività di buona parte dell’organismo, dal metabolismo, al cuore, dal cervello all’intestino.

Cosa accade se la tiroide non funziona?

Tutto o, apparentemente, niente…

Nel senso che: gli ormoni tiroidei agiscono su tutte le cellule dell’organismo. Riescono a fare da tramite fra l’ambiente esterno e l’organismo in modo straordinario, come nessuna macchina riesce a fare…

Quando funzionano bene… Ma proprio per questa azione estremamente sofisticata e concertata di tutto il Complesso Tiroideo quando vi è un problema, un malfunzionamento, o una ipo-funzione può essere complicato scoprire da dove deriva.

Più una macchina è complicata più è facile che si rompa e più difficile può essere venirne a capo.

Per questo i sintomi possono essere sfumati, numerosi, diversi da persona a persona, e possono essere confusi con altre malattie.

Purtroppo vengono anche troppo spesso scambiati genericamente e superficialmente con stress, depressione o caratteristiche personali.

Quali sono le disfunzioni tiroidee principali?

Sono l’ipotiroidismo e l‘ipertiroidismo.

Nell’ipotiroidismo vengono prodotti meno ormoni tiroidei del normale e vi sono sintomi dovuti alla carenza di ormoni tiroidei. Il TSH è generalmente elevato e gli ormoni tiroidei sono bassi.

Nell’ipertiroidismo vengono a differenza prodotti più ormoni tiroidei del normale e vi sono sintomi dovuti alla carenza di ormoni tiroide. Il TSH è generalmente basso o molto basso (tecnicamente si dice “soppresso”) e gli ormoni tiroidei sono alti.

Il “generalmente” deriva dal fatto che esistono condizioni intermedie (es. ipotiroidismo subclinico ed Euthyroid Sick Syndrome), che rendono più complessa la diagnosi, il riconoscimento della malattia e la relativa cura.

Sono condizioni meno rare di quanto si possa pensare e, anche se magari non mettono a repentaglio la vita dei pazienti (e quindi per la medicina ufficiale non sono gravi), possono impattare in modo significativo sulla qualità della vita e nel, tempo, sulla salute.

Quali sono i sintomi dell’IPOTIROIDISMO?

I principali sintomi dell’ipotiroidismo sono:

  • Stanchezza
  • Debolezza alla mattina
  • Aumento di peso nonostante un ridotto introito energetico
  • Ipersensibilità al freddo e bassa temperatura corporea
  • Depressione o ansia
  • Umore mutevole
  • Sensazione di non essere più la persona di prima.
  • “Brain fog” Cervello annebbiato
  • Sensazione che la testa galleggi
  • Perdita di memoria
  • Difficoltà di concentrazione
  • Sonnolenza
  • Lentezza
  • Mal di testa mattutini che scompaiono durante la giornata
  • Capelli secchi o sottili e che cadono facilmente
  • Prurito e pelle secca
  • Difficoltà a sudare
  • Stipsi e costipazione
  • Problemi digestivi cronici, dovuti alla mancanza di acidità nello stomaco (ipocloridria)
  • Scarsa circolazione e intorpidimento di mani e piedi
  • Crampi muscolari a riposo
  • Dolori articolari
  • Aumento della sensibilità a  infezioni batteriche o virali e difficoltà di guarigione
  • Mestruazioni irregolari o aborti spontanei (donna)
  • Disfunzione erettile (uomo)
  • Rigonfiamento del volto (edema), di mani e piedi
  • Comparsa del gozzo o di un rigonfiamento del collo
  • Perdita delle sopracciglia più esterne
  • Riduzione delle frequenza cardiaca (bradicardia)
  • Colesterolo alto (ipercolesterolemia)

In questo articolo spieghiamo perchè i sintomi dell’ipotiroidismo sono così indecifrabili.

Quali sono i sintomi dell’IPERTIROIDISMO?

  • Nervosismo
  • Irritabilità
  • Umore mutevole e possibili comportamenti aggressivi
  • Attacchi di panico, ansia, difficoltà a concentrarsi
  • Disturbi del sonno
  • Intolleranza al calore
  • Sudorazione eccessiva – Mani calde e sudate
  • Tremore alle mani
  • Tachicardia o palpitazioni
  • Diarrea
  • Perdita di peso associata ad un aumento dell’appetito
  • Debolezza muscolare
  • Aumento della differenza fra pressione minima e massima
  • Alterazioni del ciclo mestruale (nella donna)
  • Eiaculazione precoce (nell’uomo)

Quali controlli fare per la tiroide ?

L’esame considerato “gold standard” ovvero di riferimento per analizzare la funzionalità della tiroide è il dosaggio nel sangue del TSH (l’acronimo dell’inglese Thyroid-Stimulating Hormone).

Il TSH è un ormone prodotto dall’ipofisi che agisce da “sensore” dei livelli di ormoni tiroidei circolanti.
Generalmente, a livelli bassi di TSH corrisponde un eccesso di funzionamento della tiroide, ovvero ipertiroidismo; viceversa valori elevati di TSH possono indicare una forma di ipotiroidismo.

Esistono poi altri esami che servono per studiare la tiroide a 360 gradi, che sono approfonditi nel blog Tiroide360 e nell’ebook.

Lo specialista potrà stabilire di approfondire la valutazione mediante alcuni esami strumentali, tra cui l’ecografia della tiroide o esami di approfondimento ulteriori.

Qual’è la TERAPIA in caso di ipotiroidismo?

La risposta potrebbe essere semplice, dal momento che le raccomandazioni per il trattamento dell’ipotiroidismo dell’American Thyroid Association e della maggior parte delle Associazioni scientifiche prevede la levo-tiroxina (L-T4) sintetica come la terapia ormonale sostitutiva di prima scelta per questa patologia.

Oggi esistono in commercio diversi dosaggi e diverse formulazioni farmaceutiche di
Levo-tiroxina sintetica (compresse, capsule molli, soluzione orale) che possono essere adattate alle varie condizioni del paziente, principalmente riducendo e migliorando il tempo di assorbimento dell’ormone tiroideo. Questo non è irrilevante sulla qualità di vita del paziente, dal momento che la Levo Tiroxina deve essere assunta alla mattina a digiuno a distanza di ½ ora dalla colazione e di 1 ora dal caffè: si possono limitare un po’ le levatacce e iniziare la giornata, momento che per il paziente ipotiroideo può essere quello più duro del giorno, in modo meno traumatico e avvilente.

È bene tuttavia chiarire che quella con Levo tiroxina sintetica NON è l’unica terapia disponibile per l’ipotiroidismo.

Nel blog e nell’Ebook viene spiegato come, dopo un opportuno approfondimento diagnostico a 360 gradi, sia possibile personalizzare la terapia per l’ipotiroidismo a seconda delle condizioni cliniche e all’esito degli esami effettuati.

Studio sull’attivazione dell’autofagia sulle cellule del cancro della tiroide

In questo studio, recentemente pubblicato su Cancer Science, viene evidenziato come un calcone, che si trova naturalmente nella lava vulcanica e che viene chiamato Flavokawaina B o FKB, possegga una potente attività anti-tumorale su vari tipi di cancro e in particolare sul cancro della tiroide.

In particolare in questo studio è stato riportato come questa sostanza (FKB) abbia una azione sullo stato metabolico delle cellule tumorali del cancro della tiroide, determinando ad un aumento dell’autofagia attraverso una up-regolation dell’AMPK, che a sua volta inibisce mTOR e attiva Beclin-1, una proteina che svolge un ruolo determinante nell’autofagia delle cellule tumorali.

Questo è estremamente interessante perché queste vie sono le stesse che sono coinvolte e iper attivate quando si sviluppa un invecchiamento (aging) favorevole, con attivazione di AMPK, inibizione di mTOR e attivazione dell’autofagia.

I ricercatori hanno inoltre dimostrato come questo calcone (FKB) giochi un ruolo favorente la sopravvivenza nelle cellule tumorali della tiroide sia in vitro che in vivo.

Gli studiosi concludono che i loro risultati forniscono una evidenza di una  combinazione di trattamento con FKB e inibitori dell’autofagia farmacologici potrebbe essere una potenziale strategia terapeutica per il trattamento del tumore della tiroide.

Naturalmente non si sono dimenticati di specificare che ulteriori studi servono per supportare questi dati, ma ad ogni modo questo studio rafforza l’ idea che il meccanismo dell’ autofagia svolga un ruolo chiave nel determinare
lo  stato delle cellule sia sane che patologiche e la sua stimolazione può essere una arma in più sia a livello di cura che, soprattutto, di prevenzione.

Cancer Science. 2018 Jun 16.
AMPK-dependent mTOR pathway is involved in flavokawain B-induced autophagy in thyroidcancer cells.
He Q et all.

 

Giornata Mondiale della Tiroide (World Thyroid Day)

Il 25 maggio 2018 viene celebrata la Giornata Mondiale della Tiroide (World Thyroid Day).

Per un giorno viene dato spazio a questa piccola ghiandola che governa l’energia di tutto l’organismo. Di certo alla tiroide ci pensa chi ha una qualche disfunzione o malattia tiroidea.
In realtà è meglio pensarci PRIMA che la tiroide sia irrimediabilmente danneggiata: si chiama prevenzione.
La tiroide fornisce segnali di malfunzionamento ben prima di ammalarsi e di necessitare una terapia farmacologica.

Non basta non avere asterischi sugli esami di laboratorio che vengono fatti di routine.

Né basta eseguire quello che viene ritenuto l’esame “Gold Standard” (il top) per la tiroide: il TSH sierico.

Questo esame è al di fuori di fuori dell’intervallo di riferimento (più alto in caso di ipotiroidismo – più basso in caso di ipertiroidismo) solo quando si è in presenza di una condizione di malattia endocrinologica conclamata.

In questo caso possono essere presenti uno o più sintomi che disfunzione della tiroide, che possono essere quelli che hanno condotto alla prescrizione dell’esame.

Quando il TSH è al di fuori del range di riferimento non si può più parlare di prevenzione ma di malattia della tiroide.

Ora vi sveleremo 5 semplici mosse per fare prevenzione vera sulla tiroide.

1 Prova dello specchio

Bisogna tenere in mano uno specchio e guardare e concentrarsi sulla zona anteriore più bassa del collo, sopra le clavicole e sotto la zona delle corde vocali, dove è localizzata la tiroide (sotto il pomo di Adamo).

A questo punto, sempre concentrandosi su questa zona allo specchio, si piega la testa all’ indietro e si deglutisce un sorso d’ acqua. Una volta deglutito bisogna guardare subito lo specchio e verificare la presenza o no di eventuali rigonfiamenti in quella zona (American Association Clinical Endocrinologists).

2 Test della temperatura di Barnes

E’ un vecchio, ma sempre indicativo test, che può essere eseguito al domicilio. Per eseguirlo bisogna misurarsi la temperatura corporea ascellare con un termometro al risveglio, prima di aver eseguito qualsiasi attività ed essersi alzati.

Il test va ripetuto per 3 giorni consecutivi.

Le donne in età fertile devono eseguire il test dal secondo giorno di mestruazione.

I valori normali della temperatura dovrebbero essere fra i 36,5°C e i 36,8°C. Valori inferiori sono suggestivi di un ipotiroidismo, meritevole di ulteriori accertamenti.

3 Misurazione degli ormoni tiroidei, FT3 ed FT4,  nelle urine delle 24 ore.

Questo può essere un indicatore di un problema tiroideo molto prima che si modifichino gli ormoni tiroidei o il TSH nel sangue.

4 TSH sierico

quando si discosta dai VALORI OTTIMALI, che sono riconosciuti essere intorno a 1 – 1.5 pg/mL e in particolare quando supera i 3 pg/mL può essere indicatore di una disfunzione tiroidea.

5 Autoanticorpi Anti TPO (anti-tireo Perossidasi) e Anti TG (anti-Tireoglobulina) nel siero.

Sono indicatori di una malattia autoimmune che colpisce la tiroide: vengono eseguiti di solito solo quando il TSH è elevato o vi sono sintomi di ipotiroidismo.

In realtà nelle prime fasi di una tiroidite autoimmune il TSH può essere nella norma ma l’organismo produce auto anticorpi contro la tiroide (che DOPO può sviluppare una riduzione della sintesi degli ormoni tiroidei per il danneggiamento provocato dal processo autoimmune).

Può essere utile eseguire questi esami anche prima che vi sia un innalzamento del TSH, quando vi sono sintomi suggestivi di una tireopatia per correre subito ai ripari.

Qualora uno o più di questi 5 parametri risultino alterati è necessario rivolgersi al medico per opportuni approfondimenti.

Opzioni per il trattamento della tiroide

Il fatto che esistano più opzioni per il trattamento dell’ipotiroidismo potrebbe di per sé rappresentare una notizia.

La maggior parte dei pazienti ipotiroidei ritiene che l’unica terapia sostitutiva con ormoni tiroidei sia quella con Levo Tiroxina (L-T4) sintetica (es. Eutirox, etc…).

La maggior parte dei medici ritiene che questa sia di fatto l’unica terapia prescrivibile nella maggior parte dei casi, perché quella indicata dalle linee guida. Questa visione sembra quantomeno RIDUTTIVA

Cosa intendiamo dire?

Una visione a 360 gradi della tiroide deve tenere conto di:

  1. TUTTI gli esami specialistici necessari per inquadrare il paziente e il suo “complesso tiroideo” (scarica l’ebook per saperne di più…): questo consente di formulare una terapia p.e.r.s.o.n.a.l.i.z.z.a.t.a
  2. TUTTE le opzioni terapeutiche per l’ipotiroidismo:
    Fra queste vi sono diversi tipi di terapia ormonale sostitutiva:

    1. Levo Tiroxina sintetica (LT4)
    2. Triiootironina sintetica (T3)
    3. Tiroide secca naturale
    4. Derivato sintetico T3 – T4
    5. Terapia combinata con quanto sopra

    Esistono diversi tipi di nutrienti e rimedi naturali in grado di agire sul “complesso tiroideo”:

    1. Vitamine
    2. Minerali
    3. Fitoterapici
    4. Funghi medicinali
    5. Probiotici/Prebiotici e quanto in grado di agire sul microbiota
    6. Citochine omeopatizzate, e molto altro…

     

  3. STILE DI VITA: nutrizione, attività fisica, controllo dello stress, sonno, etc.
    Tutto il sistema endocrino / ormonale, e fra questo anche quello tiroideo, vengono influenzati in modo determinante dallo stile di vita.
    Non sono solo chiacchere!!! Ma è quanto evidenziano gli studi scientifici più innovativi e dalla fisiologia.
    Quindi per il benessere della tiroide cerca di volerti bene ed incomincia a pensare di cambiare (positivamente, ovvio…) qualcosa del tuo stile di vita.
    Se non riesci a farlo da solo fatti aiutare da uno specialista.
    Poi … (o contemporaneamente) … si può pensare alla terapia ormonale sostitutiva della tiroide o ad eventuali integrazioni personalizzate.